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Data: 09/10/2013

Abruzzo, meno disuguaglianze per tornare a crescere

Abruzzo, meno disuguaglianze per tornare a crescere
Forum lavoro (1. parte): la relazione del segretario regionale

L'Abruzzo in stallo, il piano del lavoro, le sofferenze e il disagio di persone e famiglie. Su questi argomenti, i temi di un'organizzazione sindacale, la Cgil abruzzese si è interrogata e ha discusso a più voci. Lo ha fatto riunendo i suoi dirigenti regionali e quelli delle Camere del lavoro, chiamati a un confronto nel quale ciascuno ha messo sul piatto esperienze e analisi, valutazioni e proposte. Un confronto dal quale sono uscite molte considerazioni: ne proponiamo una lunga sintesi, divisa in quattro parti, che però non riuscirà a racchiudere tutte le sfumature e la ricchezza di un dibattito così importante. Servirà tuttavia a riproporne almeno i passaggi salienti (Luca Torchetti)

 

<Se si vuol capire quanto accade è meglio andare sul concreto e mettere le cose al loro posto: è la disuguaglianza ad aver prodotto la crisi, non il contrario. La redistribuzione del reddito non è solo un fatto di equità sociale ma anche un fattore di sviluppo>. Così, con un'affermazione che non lascia spazio ad interpretazioni, il segretario regionale ha aperto la giornata che la Cgil Abruzzo ha organizzato per discutere della crisi e del piano del lavoro, di quanto accade dentro e fuori questa regione e di ciò che il sindacato propone per uscire dalla spirare in cui siamo finiti. Un confronto a tante voci (erano presenti i vertici regionali e provinciali), con sfumature e analisi troppo ricche e articolate per poter essere riassunte senza qualche sbavatura o dimenticanza. Proviamo a farlo lo stesso perché dal dibattito sono venuti tanti spunti e proposte.

Cominciamo dalla relazione introduttiva del segretario generale della Cgil abruzzese. Quella fatta da Gianni Di Cesare è stata un'analisi partita dalla considerazione <che il 2011 è stato un anno chiave, quando la crisi è diventata un fatto concreto tra le persone e i lavoratori>. E' accaduto perché la crisi da finanziaria è diventata una crisi del lavoro che ha investito l'Europa e dentro di essa l'Italia, uno dei suoi anelli deboli.

Fatto è che la recessione rischia di trasformarsi in depressione, e che l'Abruzzo (che in depressione era già agli inizi degli anni Duemila) si trova alle prese con problemi che ne mettono a repentaglio il futuro. Così, se nei prossimi mesi le questioni più importanti si chiariranno fuori e dentro l'Abruzzo (anche nei loro aspetti più drammatici), ci sono però alcune peculiarità che riguardano la nostra regione e l'insieme del Mezzogiorno italiano, i cui problemi sembrano usciti dall'agenda della politica nazionale.

Per quanto ci riguarda, i tagli che colpiscono l'Abruzzo e il pagamento dei debiti stanno bloccando la stessa Regione, che per Di Cesare può agire ormai soltanto su quattro settori: sanità, trasporti, interessi passivi e pubblica amministrazione. Se questo è vero, e se i fondi Fas disponibili sono "l'ultimo giro" dei finanziamenti europei per l'Abruzzo, allora il reperimento delle risorse per investimenti diventa uno dei nodi per il futuro di questa regione. D'altra parte l'elenco dei problemi che stila il segretario è veramente complicato: tra gli altri le conseguenze del terremoto (che rischiano di pesare sull'intero Abruzzo), la crisi della finanza e del credito (da ultima la vicenda Tercas) e la riorganizzazione dell'industria, un comparto che in questa regione è ancora forte ed occupa oltre il 30% dei lavoratori.

Dunque se i dati sull'occupazione reggono è soltanto grazie alla strategia difensiva di questi anni (cassa integrazione varia e contratti di solidarietà), e se la ricostruzione post-sisma ha prodotto lavoro in edilizia (4.000 addetti in più), il terziario abruzzese ha registrato un crollo rovinoso (-10.000 addetti quando in Italia il settore cresce) mentre i giovani tornano a sognare un posto (anche emigrando) e i territori contano un'emorragia di chiusure e fallimenti.

Problemi troppo grandi per affrontarli da soli. I nodi vanno sciolti anche ai livelli più alti e quel che serve è un governo che cambi la politica economica e ricontratti con l'Unione Europea i vincoli di questi anni. Per Di Cesare d'altra parte <da questa crisi si esce soltanto con una grande trasformazione, con un nuovo modello di sviluppo che favorisca una nuova e buona occupazione, con uno Stato che in ultima istanza può anche diventare datore di lavoro e con una spinta che può partire da un new deal europeo>.

Di qui una domanda scontata: dove si prendono i soldi? <L'Euro va difeso ma cambiando il fiscal compact, i vincoli di bilancio e finanza pubblica, inoltre vanno usati i fondi europei e quelli italiani della Cassa depositi e prestiti - risponde il segretario regionale - poi ci sono i fondi previdenziali (perché non costruirci opere pubbliche?) e gli stanziamenti europei vanno cofinanziati>.

C'è poi la specificità abruzzese. Il fatto che i 600 milioni di fondi Fas servono anche a coprire l'assenza dei finanziamenti ordinari e i tagli nazionali (e neppure del tutto, come dimostrano i 10 milioni assegnati al comparto Sociale per rimediare al taglio di 18 milioni). L'Abruzzo inoltre è penalizzato dal cosiddetto federalismo fiscale, e mentre rischia di fare "l'ultimo giro dei fondi europei" la Regione ancora non assegna 234 milioni (su circa un miliardo) che l'Unione ci ha dato per il periodo 2007-2013.

Né dimentica, Gianni Di Cesare, che mentre le aziende hanno saputo usare i finanziamenti (innovazione, nuova impresa e sussidi del post-terremoto) gli enti attuatori pubblici, quelli a cui è demandato l'iter e la realizzazione dei progetti, <i soldi a disposizione non li hanno utilizzati quasi per niente>.

Il segretario per concludere insiste sulle altre peculiarità abruzzesi. Dalle multinazionali e le <imprese comuni europee> che operano in questa regione (quelle con i soci in più paesi europei come Sevel, Thales o ex Micron) che vanno mantenute e radicate con iniziative specifiche, alle piccole e medie aziende (a favore delle quali, insieme a vari interventi, anche il de minimis a fondo perduto andrebbe aumentato da 200mila a 500mila euro), dall'urgenza di rimettere in piedi un terziario ridimensionato dalle privatizzazioni al problema del trasporto pubblico, dove i rinvii dell'azienda unica regionale si sommano alle caratteristiche di un comparto frammentato (come reggeranno 48 aziende di trasporto?).

L'elenco delle doglianze potrebbe continuare a lungo, ovviamente. Ci fermiamo qui e diamo la parola (gli articoli sul forum che seguono) ai sindacalisti ai vertici delle strutture abruzzesi. Lo facciamo però non senza ricordare un problema che Di Cesare e la Cgil regionale pongono ai primi posti in agenda: la mobilità sanitaria passiva, il fatto che un certo numero di abruzzesi si fa curare fuori regione. E che alle quattro Asl costerà quest'anno 68 milioni di euro.

(Fine prima parte, le altre nelle News)


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