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Data: 16/02/2019

Autonomia regionale: no a provvedimenti che aumentano le disuguaglianze

Autonomia regionale: no a provvedimenti che aumentano le disuguaglianze
Si rischia di favorire ulteriormente le zone sviluppate a discapito del Sud, i commenti del sindacato

Che si tratti "di un provvedimento che in assenza di norme generali nazionali, per esempio la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, aumenterà le disuguaglianze" finalmente sembrano essersi accorti in molti. Al punto da mettere sotto i riflettori un tema cruciale al quale i mezzi d'informazione avevano dato meno attenzione di quella che gli era stata riservata dalla politica e che oggi ha preso la forma di una divergenza di opinioni fra i partiti di governo, Lega e Movimento 5 Stelle, che ha fatto slittare l'approvazione del provvedimento.
Stiamo parlando della cosiddetta "Autonomia regionale differenziata", un progetto governativo che cambia le materie di competenza della varie regioni e l'attribuzione delle risorse finanziarie (a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sarebbero riconosciute ulteriori forme di autonomia, poi si vedrà quali altre regioni seguiranno) e con esse lo stesso assetto istituzionale e democratico italiano.
E allora se le regioni più ricche e sviluppate avranno più competenze e risorse finanziarie, e se a pagare dazio saranno le regioni meridionali (Abruzzo e Molise sono avvertite...), non meraviglia se nel dibattito pubblico vengono utilizzate frasi come "Cittadini di serie A e cittadini di serie B" o "Secessione dei ricchi". Un tema sul quale anche la Cgil ha preso più volte posizione non senza aver ricordato quel che è accaduto fino ad oggi, ovvero "che l'Italia è un Paese dalle forti e insostenibili diseguaglianze nella fruizione dei servizi pubblici e nell'esigibilità dei diritti fondamentali, che si accentuano drammaticamente nelle regioni del Mezzogiorno". Una divaricazione economica e sociale che dura da decenni ma che "non si può fronteggiare con l'attribuzione di maggiore autonomia ad alcuni territori, lasciandone indietro altri". E neppure "si possono concedere più poteri e più risorse solo ad alcuni senza un quadro normativo comune e senza garantire la perequazione".
Se davvero si vuole ridurre le disparità e garantire l'uguaglianza dei diritti, per la Cgil vanno precorse altre strade. "Innanzitutto - spiegano dalla Confederazione - è necessario definire e garantire, in tutti gli ambiti, i Livelli Essenziali delle Prestazioni. È indispensabile quindi definire sia leggi quadro sui principi fondamentali che fabbisogni standard connessi all'esigibilità della prestazione definita come essenziale, con il superamento graduale della spesa storica. Inoltre non si può rompere il vincolo di solidarietà statuale e legare i trasferimenti di risorse alla capacità fiscale dei singoli territori, cancellando così il principio perequativo. Come non può essere messa in discussione l'unitarietà della contrattazione nazionale: un contratto regionale non può migliorare la qualità dell'istruzione o della sanità". D'altra parte "nella scuola primaria e secondaria esistono già dei percorsi differenziati, ma arrivare al contratto regionale degli insegnanti (come intende fare il Veneto) oltre che disconoscere la contrattazione collettiva nazionale rappresenterebbe un segnale pericolosissimo: darebbe l'idea che i percorsi formativi ed educativi sono diversi da regione a regione".
A ribadire la contrarietà della Cgil è stato lo stesso segretario generale, Maurizio Landini, secondo cui l'autonomia regionale differenziata "per come si sta delineando è in contrasto con i principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. I cittadini infatti devono avere tutti gli stessi diritti fondamentali - sanità, istruzione, lavoro, mobilità - a prescindere da dove nascono, altrimenti si rischia di mettere in discussione il concetto stesso di unità del Paese. Tenere unito il Paese significa ridurre le diseguaglianze e le ingiustizie sociali, che in questi ultimi anni si sono ampliate, e questo disegno va nella direzione contraria".
Una pioggia di critiche dunque, dal sindacato alla politica agli esperti di economia e territori (in allegato riproponiamo l'analisi di Gianfranco Viesti). Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil, a Radioarticolo1 afferma per esempio che il provvedimento prefigura "una vera e propria secessione rispetto all'impianto unitario previsto dalla Costituzione perché le regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, n.d.r.) chiedono un'autonomia su 13 distinte materie di competenza statale, più o meno tutte, con ricadute pesanti e un impatto di natura economica, sociale e istituzionale: per molti giuristi si tratta di un autentico atto incostituzionale".
D'altra parte se passasse un'autonomia così concepita si creerebbero diritti diseguali, "che al contrario andrebbero resi uguali laddove oggi non lo sono, a partire da istruzione, formazione, ambiente, ricerca, infrastrutture, tutti ambiti dove non esistono i Livelli essenziali delle prestazioni, come avviene nella sanità con i Lea... La verità - conclude la sindacalista - è che le Regioni ricche del Nord vogliono trattenere più risorse: questo è il loro vero obiettivo e l'attuale governo, purtroppo, prosegue sulla strada già tracciata dall'esecutivo precedente. Non solo. Se passa il progetto del governo si rischia una modifica dell'assetto istituzionale della nostra democrazia. Sia pure in ritardo anche le regioni del Sud si sono accorte del fatto che l'autonomia differenziata peggiorerebbe la loro situazione. E noi, in un Paese già di per sé diviso, non ci possiamo permettere l'ennesimo conflitto istituzionale".

 

P.S. In allegato l'analisi di Gianfranco Viesti


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