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Data: 14/11/2018

Il mercato del lavoro non scommette sui giovani

Il mercato del lavoro non scommette sui giovani
Il report della Fondazione Di Vittorio: negli anni della crisi è cambiata la gerarchia dell’età

L'ennesima conferma è arrivata dal report "Ingorgo generazionale?" realizzato dalla Fondazione Di Vittorio: a dispetto dell'invecchiamento anagrafico, dell'emigrazione di giovani con titoli di studio qualificati e della minore propensione alla ricerca di un'occupazione, sono proprio loro - i più giovani - a pagare lo scotto maggiore di una crisi che allontana e rende difficili le opportunità di lavoro. Nonostante l'invecchiamento della popolazione dell'ultimo decennio, si legge nel rapporto, quando in Italia si è fortemente ridotto il numero dei giovani con età compresa tra 15 e 34 anni (-1.374.000), si è ridimensionato il peso dalla fascia intermedia 35-49 anni (-653.000) ed è fortemente cresciuto quello della classe 50-64 anni (+1.946.000) i numeri su occupazione, disoccupazione e inattività non sono andati nella stessa direzione ed anzi sono stati molto diversi a seconda delle fasce di età.
"Quantitativamente - affermano dalla Fondazione - gli occupati nel secondo trimestre 2018 superano il massimo raggiunto nel secondo trimestre 2008 (+168mila), ma il numero di ore lavorate è ancora considerevolmente più basso (-4,6%) equivalente a quasi un milione di "unità di lavoro" in meno. Il Tempo Determinato inoltre da 2,3 milioni è arrivato a superare quota 3 milioni nel 2018, in termini percentuali si è passati dal 13,5% al 17% del lavoro dipendente. Inoltre il part-time involontario è raddoppiato: da circa 1,4 a 2,8 milioni. Si tratta quindi di un'occupazione qualitativamente più frammentata e instabile rispetto a prima della crisi economica".

"L'invecchiamento anagrafico - continua la ricerca - spiega però solo in parte la modifica nella composizione per età del mercato del lavoro italiano: infatti tra i giovani da 15 a 34 anni la riduzione dell'occupazione giovanile va ben oltre il calo degli occupati nel decennio (-1.863.000) e sorpassa di quasi 500mila unità quello della popolazione, con il tasso di occupazione che si riduce del -9,3%. Il calo demografico quindi non basta a migliorare i numeri della disoccupazione giovanile, come non bastano la consistente emigrazione di giovani spesso con titoli di studio elevati e la minore propensione al lavoro (l'inattività infatti cresce solo tra i giovani), sicché l'aumento di quasi 330mila persone nella fascia della disoccupazione giovanile vale percentualmente il doppio degli aumenti che si registrano nelle altre classi di età".
Il paradosso , se possiamo chiamarlo così, è che l'età resta un elemento discriminante sul lavoro, ma che oggi le gerarchie sono cambiate. "Dieci anni fa - si legge nel rapporto - il tasso di occupazione dei giovani era più elevato di quello dell'età matura (50,7% rispetto a 47,1%). Nel secondo trimestre di quest'anno però i punti di differenza sono diventati 19, ma a favore dei più anziani (41,4% contro 60,3%). Anche le classi di età intermedie, 35-49 anni, hanno visto ridursi il tasso di occupazione, ma la differenza (-2,7%) è molto più contenuta rispetto ai più giovani. Simmetricamente il tasso di inattività dei giovani, che era quasi di 9 punti inferiore a quello delle persone mature, nel secondo trimestre 2018 è di circa 13 punti superiore (48,5% contro 35,4%)".

Dunque il tasso di disoccupazione, così come il numero di disoccupati, è cresciuto in tutte le classi di età, e "tuttavia l'aumento in punti percentuali di quello giovanile (+7,9) è circa il doppio di quello della fascia intermedia (+3,9) e più del doppio di quello della fascia matura (+3,6). Nell'intera fascia lavorativa 15-64 anni il tasso di occupazione è tornato in sostanza quello di dieci anni fa (58,7%), com'è accaduto per il numero di occupati. E in definitiva il tasso di occupazione italiano resta ancora distante da quello medio europeo e dei principali stati (circa -16 punti dalla Germania, -6 dalla Francia e -3 dalla Spagna).
Di qui la conclusione della Fondazione Di Vittorio: "Solo tra i giovani tutte le grandezze del mercato del lavoro peggiorano: meno occupati, più disoccupati, più inattivi, cambiando profondamente a loro sfavore la gerarchia nel mercato del lavoro, con particolare criticità nel Mezzogiorno. È ragionevole collegare questi dati principalmente agli interventi legislativi (legge Fornero) che hanno spostato ulteriormente in avanti l'età del pensionamento, ma è anche evidente che l'attuale modello di sviluppo non propone lavoro in qualità e quantità adeguate. Sbloccare quindi la possibilità di pensionamento è giusto e necessario, ma di per sé non è sufficiente a garantire un aumento di pari entità del lavoro tra i più giovani, né un miglioramento della sua qualità. Ad esempio, chi dovrebbe andare in pensione è generalmente a tempo indeterminato: con che tipo di occupazione sarà sostituito? Solo uno sviluppo di qualità può far lavorare di più e meglio i giovani".
Argomenti commentati anche dalla Cgil nazionale tramite la segretaria confederale Tania Scacchetti, secondo cui "il cambiamento della composizione del mercato del lavoro che si evidenzia richiede riflessioni profonde, anzitutto sul fatto che la domanda di lavoro che c'è, ancorché scarsa, non scommette sulle giovani generazioni. Di innovazione, capacità digitali, abilità 4.0 ed elevate competenze si parla molto, ma probabilmente riguardano ancora una quota molto parziale del sistema produttivo. Una seconda riflessione riguarda le misure incentivanti degli ultimi anni, del tutto insufficienti se non addirittura fallimentari se non sostenute da politiche industriali, investimenti, sostegno alla qualità del lavoro e al suo riconoscimento sociale ed economico. Infine non possono essere neutre le ricadute sociali che i dati raccontano, aggravate dai grandi divari territoriali - incalza la sindacalista - L'alta disoccupazione giovanile di oggi è un ostacolo alla natalità e alla crescita del Paese, e senza correttivi determinerà un impoverimento di natura previdenziale nel futuro che rischia di pregiudicare la già fragile tenuta sociale del Paese". L'Italia dunque "se non sarà capace di mettere in campo un forte piano di investimenti pubblici e privati, un piano straordinario per l'occupazione giovanile e una politica fiscale progressiva fortemente redistributiva a favore dei lavoratori e dei pensionati, si condanna a un lento declino".

 

P.S. In allegato il rapporto della Fondazione Di Vittorio


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