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Data: 31/07/2017

Il Sud avanti piano, l’Abruzzo resta al palo

Il Sud avanti piano, l’Abruzzo resta al palo
Il Rapporto Svimez 2017 e i dati che raccontano di una regione con i motori ancora spenti

Un paio di anni or sono, nel 2015, i dati sull'Abruzzo (che aveva registrato un aumento del Pil, ovvero della ricchezza prodotta, pari al 2,1%) lasciavano sperare che la crisi era alle spalle e che poteva finalmente ripartire un lento ma costante processo di crescita.
Una speranza durata poco, a leggere i numeri diffusi da Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, che nelle anticipazioni del Rapporto 2017 sull'economia del Sud italiano (e delle singole regioni) segnala che l'anno scorso l'Abruzzo è stata l'unica regione in controtendenza rispetto a un Mezzogiorno (+1% di Pil) che per il secondo anno consecutivo ha saputo fare meglio anche di un Centro-Nord rimasto al +0,8%. Una prestazione che si fermerà a quest'anno, perché già dal prossimo il Nord tornerà come sempre in testa alla classifica. Una classifica - guardando solo le regioni meridionali - che l'anno scorso ha presentato appunto la brutta eccezione dell'Abruzzo, il cui Pil è risultato negativo del -0,2%.
Fatto è, ragiona Svimez, che l'Abruzzo non soltanto registra un forte calo dell'agricoltura, ma soprattutto che l'industria ha subito una pesante battuta d'arresto attestandosi sul -2,2%, il che secondo il rapporto <denota una severa contrazione della produzione industriale regionale>. Numeri e fatti (la stasi dell'economia regionale, peraltro colpita da ripetuti terremoti e catastrofi naturali, unitamente alle caratteristiche del nostro apparato industriale) per i quali rimandiamo al commento di Sandro Del Fattore, segretario generale della Cgil Abruzzo, che si può leggere nella News successiva.
Così, detto che per Svimez con questi ritmi di crescita il Mezzogiorno tornerà ai livelli pre-crisi soltanto nel 2028, dieci anni dopo il Centro-Nord, segnaliamo che le anticipazioni del Rapporto 2017 sono pubblicate integralmente in allegato. Senza dimenticare altri aspetti di quel che è accaduto in questi anni: la povertà è cresciuta (a rischio indigenza sono oggi il 21,7% degli abruzzesi), i posti di lavoro sfumati dal 2008, quando è iniziata la crisi, sono lontani dall'essere recuperati (solo per restare al recente passato: tra il quarto trimestre 2016 e il primo trimestre 2017 l'Abruzzo ha perso di nuovo 18.000 posti), il Sud non è più l'area giovane del Paese e neppure il suo serbatoio demografico (l'Abruzzo per esempio perde abitanti in tutte le province, sia pure in modo differente) al punto che negli ultimi 15 anni - stranieri esclusi - la popolazione meridionale è diminuita di 393mila unità, mentre è aumentata di 274mila nelle regioni del nord, nello stesso periodo inoltre dal Sud sono emigrati 1,7 milioni di persone, a fronte di un milione di rientri (peggio ancora: il 72,4% sono giovani entro i 34 anni, 198mila laureati). Una dinamica che stando così le cose penalizzerà parecchio anche l'Abruzzo: secondo le stime Svimez la nostra regione tra 50 anni supererà appena il milione di abitanti.

 

L'economia meridionale nel Rapporto SVIMEZ 2017 (sintesi)

 

IL CONTESTO DEL 2016 - Il 2016 è stato positivo per il Sud, il cui Pil è cresciuto dell'1%, più che nel Centro-Nord, dove è stato pari a +0,8%. Ciò è la conseguenza di alcune condizioni peculiari: il recupero del settore manifatturiero, cresciuto cumulativamente di oltre il 7% nel biennio 2015-2016, e del +2,2% nel 2016, la ripresa del settore edile (+0,5% nel 2016) e il positivo andamento dei servizi (+0,8% nel 2016).
PREVISIONI 2017 E 2018 - In base alle previsioni della Svimez, quest'anno il Pil dovrebbe aumentare dell'1,1% al Sud e dell'1,4 % nel Centro-Nord. Nel 2018 la Svimez prevede un aumento del prodotto dello 0,9% nel Mezzogiorno e dell'1,2% al Centro-Nord. Il principale driver della crescita meridionale nel 2017 dovrebbe nuovamente essere la domanda interna: i consumi totali crescerebbero dell'1,2% (quelli delle famiglie dell'1,4%) e gli investimenti al Sud del +2%. Si prevede anche una crescita per l'occupazione (+0,6%). La Svimez ha stimato gli effetti dell'eventuale attivazione della clausola di salvaguardia relativa all'aumento delle aliquote Iva nel 2018 per circa 15 miliardi. Se infatti tale aumento diventasse operativo, sarebbe l'economia meridionale a subire l'impatto più negativo, in quanto nel biennio 2018-2019 il Pil del Sud perderebbe quasi mezzo punto percentuale di crescita (-0,47%), due decimi di punto in più rispetto al calo di prodotto presunto nel Centro-Nord (-0,28%).
L'EVOLUZIONE DEL PIL NEGLI ULTIMI ANNI - Nel 2016 il prodotto dell'Italia è cresciuto dello 0,9%, dopo essere aumentato dello 0,1% nel 2014 e del +0,8% nel 2015. Il recupero però è molto più lento se confrontato con l'Area dell'Euro, dove la crescita è stata doppia (1,8%) e con l'intera Unione Europea, dove è stato ancora maggiore (+1,9%). Si è quindi continuata ad allargare la forbice di sviluppo con l'Europa: dall'inizio della crisi, nel 2008, il divario cumulato con l'Area dell'Euro è aumentato di oltre 10 punti percentuali, con l'Unione Europea di oltre 12 punti. Nel quindicennio 2001-2016 la caduta del Pil cumulato al Sud è stata del -7,2%, a fronte di una crescita del 23,2% della Ue a 28.
AUMENTO DI CONSUMI E INVESTIMENTI AL SUD NEL 2016 - La crescita del prodotto nel 2016 è stata sostenuta nel Mezzogiorno dall'aumento sia dei consumi che degli investimenti: entrambe le voci hanno mostrato, come nel 2015, un incremento positivo, dopo 7 anni di flessioni consecutive. I consumi finali interni sono aumentati al Sud dell'1%, quelli delle famiglie dell'1,2%, anche se nelle aree meridionali aumenta meno che nel Centro-Nord la spesa alimentare e quella per abitazioni. La crescita degli investimenti nel 2016 (pari al 2,9% nel Sud) è stata elevata sia nell'industria in senso stretto (+5,2%), dopo anni di flessioni, sia soprattutto nell'edilizia (+8,7%). L'andamento è stato invece negativo nell'agricoltura (-3%, dopo il +4,2% del 2015 che ha risentito dell'annata agraria eccezionale). Si conferma altresì la crescita dell'export, anche in un periodo di rallentamento del commercio internazionale.
FORTE CALO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI AL SUD - Terminata nel 2015 la fase di accelerazione della spesa pubblica legata alla chiusura della programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013, per scongiurare la restituzione delle risorse comunitarie, nel 2016 c'è stata una severa contrazione della spesa pubblica in conto capitale. Nell'anno ha toccato nel Sud il punto più basso della sua serie storica, appena 13 miliardi, pari allo 0,8% del Pil.
ANDAMENTI DISOMOGENEI DELLE REGIONI MERIDIONALI NEL 2016 - La Campania è la regione italiana, e non solo meridionale, che ha registrato nel 2016 il più alto indice di sviluppo. La crescita del 2,4% giunge al termine di un triennio, dal 2014 al 2016, tutto all'insegna di dati positivi. In Campania un ruolo trainante l'ha svolto l'industria, grazie anche alla diffusione di Contratti di Sviluppo, ma ha potuto altresì beneficiare del rafforzamento del terziario nell'ultimo anno, frutto prevalentemente del positivo andamento del turismo.
La Basilicata continua ad andare bene, è la seconda regione del Mezzogiorno e una delle prime d'Italia, anche se rallenta la crescita (da più 5,4% del 2015 a +2,1% del 2016). Va notato che l'industria lucana è in ripresa già dal 2014 e continua a tirare, sia pure con intensità diverse nell'ultimo triennio.
La Puglia ha molto frenato (+0,7%) rispetto al positivo andamento del 2015, perché è andata male l'agricoltura, che ha un peso notevole nell'economia regionale, e i servizi sono rimasti pressoché stazionari. Anche le costruzioni sono cresciute poco, mentre l'industria, nonostante tutto, è in ripresa rispetto alla caduta dell'anno precedente.
La Calabria, il cui Pil si è attestato su +0,9%, ha vissuto un'annata agricola particolarmente negativa (-8,9%) mentre ha registrato un andamento favorevole nell'industria (+8,2%), con i servizi (+0,7%) che confermano l'aumento positivo registrato nel biennio precedente.
La Sicilia, che cresce dello 0,3%, sconta nel 2016 gli effetti negativi dell'agricoltura, mentre l'industria (-0,8%) e le costruzioni (-0,5%) stentano ad invertire il trend, mentre il settore dei servizi ha un andamento poco più stazionario (+0,4%).
L'Abruzzo, il cui Pil nel 2016 è negativo (-0,2%), registra un forte calo dell'agricoltura e nella regione subisce una pesante battuta d'arresto l'industria, attestandosi su -2,2%, il che denota una severa contrazione della produzione industriale regionale.
Il Molise regge sostanzialmente il ritmo di crescita dell'anno precedente, (+1,6%), trainato soprattutto dalle costruzioni, e anche se in misura molto minore dai servizi.
La Sardegna, pur se con ritardo rispetto al resto delle regioni meridionali, esce nel 2016 dalla fase recessiva e riprende a respirare, ottenendo per la prima volta un aumento del Pil (+0,6%) dopo l'andamento negativo del prodotto sia nel 2014 che nel 2015. Ciò grazie soprattutto all'industria.
RIPARTE L'OCCUPAZIONE MA NON INCIDE SULL'EMERGENZA SOCIALE - Nella media del 2016 gli occupati aumentano rispetto al 2015 al Sud di 101mila unità, pari a +1,7%, ma restano comunque di circa 380mila al di sotto del livello del 2008. L'aumento dei dipendenti a tempo indeterminato in termini relativi è più accentuato nel Mezzogiorno, grazie al prolungamento della decontribuzione. Ma l'incremento degli occupati anziani e del part-time contribuisce a determinare una preoccupante ridefinizione della struttura e qualità dell'occupazione. La riduzione dell'orario di lavoro, facendo crescere l'incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione, deprime i redditi complessivi. Il dato più eclatante è il formarsi e consolidarsi di un drammatico dualismo generazionale: in Italia rispetto al 2008 sono ancora un milione 900mila i giovani occupati in meno. Per quel che riguarda i settori, nel 2016 aumenta l'occupazione nell'industria (+2,4%), mentre diminuisce nelle costruzioni (-3,9%). Significativo incremento nel turismo (+2,6%).
PERSISTENTE AUMENTO DI POVERTA' E DISEGUAGLIANZE - Nel 2016 circa 10 meridionali su 100 sono in condizione di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro-Nord. L'incidenza della povertà assoluta al Sud nel 2016 cresce nelle periferie delle aree metropolitane e, in misura più contenuta, nei comuni con meno di 50mila abitanti. Nelle regioni meridionali il rischio di povertà è triplo rispetto al resto del Paese: Sicilia (39,9%), Campania (39,1%), Calabria (33,5%). La povertà deprime la ripresa dei consumi, e in questo contesto le politiche di austerità hanno determinato il deterioramento delle capacità del welfare pubblico a controbilanciare le crescenti diseguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud.
NUOVO DUALISMO DEMOGRAFICO - Il Sud non è più un'area giovane, né tantomeno il serbatoio di nascite del resto d'Italia: negli ultimi 15 anni, al netto degli stranieri, la popolazione meridionale è diminuita di 393mila unità, mentre è aumentata di 274mila nel Nord. Nel 2016 la popolazione del Sud è diminuita di 62mila unità, calo determinato da una flessione di oltre 96mila italiani e da una crescita di 34mila stranieri. Nel Centro- Nord il calo di popolazione è stato meno intenso: -14 mila unità. Negli ultimi 15 anni sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone, a fronte di un milione di rientri, con una perdita netta di 716mila: nel 72,4% sono giovani entro i 34 anni, 198 mila sono laureati.
COSA PROPONE LA SVIMEZ - Svimez ritiene che se la ripresa indica elementi positivi nell'economia meridionale (che ne mostrano la resilienza alla crisi) un biennio in cui lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno è risultato superiore a quello del resto del Paese non è sicuramente sufficiente a disancorare il Sud da una spirale in cui si rincorrono bassi salari, bassa produttività (il prodotto per addetto è calato cumulativamente nel periodo 2008-2016 del -6% nel Mezzogiorno e del -4,6% nel resto del Paese), bassa competitività, ridotta accumulazione e in definitiva minor benessere. Se il Mezzogiorno proseguirà con gli attuali ritmi di crescita, recupererà i livelli pre-crisi nel 2028, dieci anni dopo il Centro-Nord. Il nodo vero, ancora una volta, è lo sviluppo economico nazionale, per il quale il Mezzogiorno deve essere un'opportunità, calibrando l'intensità e la natura degli interventi per il Sud. Nella fase più recente il governo è intervenuto in maniera più decisa a favore delle imprese meridionali, mettendo in campo una batteria di strumenti per agevolare la crescita del Mezzogiorno, dopo che la lunga fase di crisi tra il 2008 e il 2015 ha ampliato ulteriormente il divario tra le due macro aree del Paese. A cominciare dal prolungamento degli esoneri contributivi per le nuove assunzioni, dal credito d'imposta per gli investimenti e dai Contratti di Sviluppo gestiti da Invitalia per conto del Ministero per lo Sviluppo Economico. Rientrano sempre nell'ambito di questa batteria di strumenti agevolativi il Masterplan e i Patti per il Sud. Da ultimi, poi, i due Decreti Mezzogiorno, il secondo in corso di conversione in Parlamento nel quale sono previste le Zone Economiche Speciale (ZES) per le sole aree meridionali. E infine la misura prevista dal primo "Decreto Mezzogiorno", in base alla quale le amministrazioni centrali dello Stato destinano alle Regioni meridionali, a partire dal 2018, una quota della loro spesa ordinaria in conto capitale proporzionale alla popolazione, all'incirca pari al 34%. In particolare quest'ultima norma può consentire di adeguare e modernizzare l'armatura infrastrutturale meridionale, condizione indispensabile per creare quel contesto adatto a uno sviluppo industriale strutturale, ma la sua applicazione non è semplice e avrebbe bisogno di un Fondo di riequilibrio territoriale della spesa ordinaria in conto capitale in cui riversare le risorse che le Amministrazioni non sono state in grado di destinare in base alla clausola del 34%. Anche il Piano nazionale Industria 4.0 s'inserisce all'interno delle politiche per accelerare la crescita del Paese, ma il suo minor impatto sul Pil e sulla produttività del Mezzogiorno sta ad indicare che la principale leva nazionale della politica industriale è da sola insufficiente per sostenere l'ammodernamento del sistema produttivo del Sud, ancora troppo limitato. Da qui l'importanza dell'istituzione delle ZES, che possono contribuire a favorire lo sviluppo e l'infittimento del tessuto produttivo meridionale, attraendo investimenti esterni all'area. La Svimez propone una strategia mirata a rivedere la Politica di coesione, a conquistare maggiori margini di flessibilità del bilancio, abbandonando le politiche di austerità e rivedendo il Fiscal Compact con l'obiettivo di rilanciare gli investimenti pubblici e assumere il Mediterraneo come orizzonte strategico.

 

P.S. In allegato il Rapporto SVIMEZ 2017

 

 


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