(1. parte) - Le scelte compiute dal governo nell'ultima manovra, così come le precedenti, <insistono prevalentemente sulla riduzione dei costi alle imprese, soprattutto del lavoro e per via fiscale, nella speranza di nuovi investimenti fissi privati>. E tuttavia <le imprese, a fronte di circa 20 miliardi di euro di sgravi e incentivi fiscali a pioggia nel biennio 2015-2016 (più altri 20 miliardi solo nel 2017 tra impegni assunti nella scorsa legge di stabilità, compreso il taglio delle imposte anche sui profitti e nuove misure in legge di bilancio) sinora hanno restituito solo 2 miliardi in investimenti all'economia nazionale. In realtà tutto ciò sottende una convinzione che, alla luce dei fatti, si è rivelata sbagliata: l'illusione cioè che sia sufficiente incentivare il tessuto produttivo attuale per creare lavoro. Ma così non è. La ripresa non avverrà facendo le stesse cose di prima. Gli incentivi sono strumenti assai deboli se non si innova la struttura produttiva. Tra le righe di questi provvedimenti, al di là delle narrazioni, si legge in realtà una sfiducia nel futuro del paese. Si ritiene che l'Italia non possa essere diversa da come è oggi, non sia in grado di modificare la sua struttura economica tradizionale messa in difficoltà dalla competizione internazionale. Si è preteso di risolvere questo problema rendendo facili i licenziamenti e comprimendo i salari, già oggi tra i più bassi d'Europa. C'è qualcuno che considera queste scelte di buon senso, ma in realtà è una via senza uscita. I paesi emergenti saranno sempre nelle condizioni migliori di costo per vincere la concorrenza. L'unico modo per mantenere il rango di grande paese consiste nel migliorare il livello tecnologico, la specializzazione del sistema produttivo, l'accesso nell'economia della conoscenza. Per fare questo c'è bisogno di un criterio di priorità diverso da quello fino ad oggi definito. Bisognerebbe puntare sulla formazione permanente per migliorare le competenze, esattamente il contrario del demansionamento; si dovrebbe puntare sulle politiche industriali della green economy, oltre che su un nuovo rapporto tra ricerca, innovazione, industria>.
Queste considerazioni si devono a Sandro Del Fattore, segretario generale della Cgil Abruzzo. Sono spunti contenuti nella relazione che il dirigente sindacale (del quale alleghiamo per un approfondimento la relazione integrale) ha illustrato in un'importante occasione di confronto che la Cgil regionale ha promosso a Pescara prima delle festività ed alla quale è intervenuta, tra gli altri, anche Susanna Camusso.
Che per riprendere la direzione del futuro e rilanciare il sistema produttivo sono necessari investimenti robusti e politiche industriali che mettano al centro l'innovazione e la ricerca (i temi oggetto del dibattito) la Cgil lo afferma ormai da anni. E tuttavia la discussione, coordinata da Rita Innocenzi, la segretaria regionale che si occupa di politiche industriali, si è focalizzata su quel che accade in questa regione, su un Abruzzo dove operano alcune eccellenze ma che non è ancora riuscito a risalire la china della classifica europea della competitività (198° posto su 262 regioni), su un Paese che spende in ricerca e innovazione appena l'1,8% del Pil a fronte del 2,6% dei tedeschi e del 4,1% degli Stati Uniti. E dove la formazione scolastica e universitaria coinvolge fette di popolazione (di giovani) molto più ridotte che nelle altre nazioni avanzate. Come accade anche per la formazione permanente dei lavoratori e dei disoccupati.
Così, prima di approfondire l'argomento, evidenziamo alcuni aspetti e rimuoviamo qualche luogo comune che inquina il campo e rende opaca la discussione. Un elenco di temi sul quale si è soffermato anche Giovanni Lolli, vice presidente della giunta regionale ma soprattutto assessore alle attività produttive, il quale dal suo osservatorio sulle crisi aziendali accenna a numeri che mettono i brividi, a decine di migliaia di abruzzesi alle prese con problemi di lavoro: persone che non hanno un'occupazione, che temono di perderla o che hanno bisogno di un qualche aiuto pubblico. Se questo è vero, afferma Lolli, <ogni battaglia difensiva è una battaglia persa, serve al contrario una strategia nuova e una diversa politica industriale>.
Di seguito l'elenco dei punti da focalizzare: 1) Non è vero che il costo del lavoro è elevato. Sul costo di un'automobile, per esempio, il lavoro "pesa" soltanto l'11% del totale, mentre incidono molto di più il costo energetico (fino a un massimo del 40%) e le materie prime. 2) Non è vero che il turismo può sostituire l'industria nell'azione di traino dell'economia. I margini di crescita del turismo sono ampi ma oggi in Abruzzo l'intero comparto turistico produce la metà del Pil di una sola azienda, la Sevel. 3) Uno dei problemi che impediscono all'industria abruzzese di crescere sono le carenti infrastrutture dei trasporti, sia quelle su ferro che quelle su gomma, sia per le persone che per le merci. 4) Stessa cosa per la depurazione o per il (mancato) recupero dei materiali. 5) Il sistema della formazione scolastica e professionale non soddisfa la domanda delle aziende. Eppure chi esce dalle scuole pubbliche migliori o dalle migliori facoltà universitarie abruzzesi riesce a trovare lavoro. 6) La lentezza delle procedure autorizzative. Negli uffici regionali, ad esempio, aspettano ancora 80 autorizzazioni ambientali. 7) Lo spreco delle materie prime, il cui recupero potrebbe da solo alimentare un intero filone produttivo. 8) L'innovazione e la ricerca come opzione di fondo, strategica, anche per l'Abruzzo. Che intrecci in sinergia l'azione delle aziende private e quella dell'apparato pubblico, al quale resta il ruolo di indirizzo e controllo. 9) La scelta dell'Abruzzo come regione dell'industria sostenibile, quella contenuta nella "Carta di Pescara" varata al termine di un confronto tra la Regione e le parti sociali. 10) In Abruzzo le aziende che investono in innovazione e ricerca sono ancora poche, le più grandi o strutturate. E tuttavia i germogli crescono e vanno sostenuti, come conferma il recente bando del Mise per la ricerca, dove 50 dei 55 progetti approvati nel sud arrivano proprio dalla nostra regione. 11) La ricerca e l'innovazione spesso non producono effetti immediati sulla crescita dell'occupazione, per la quale occorre aspettare del tempo. Quello che tuttavia si può fare è rendere più stringenti le condizioni per ottenere un contributo pubblico, vincolando le aziende al rispetto dei numeri e della tempistica del piano occupazionale quando ottengono il sostegno dei contribuenti. Tutti argomenti che hanno sollecitato il dibattito promosso nel convegno pescarese della Cgil, del quale continuiamo a parlare nella pagina che segue (1. parte - la successiva nella rubrica News).
P.S. In allegato la relazione di Sandro Del Fattore