Data: 16/07/2013
L’Abruzzo vagone centrale, ma il treno Italia arretra
Rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Anche per Giannola servono politiche di crescita
L'immagine, che piaccia o meno, è sempre la stessa: l'Abruzzo è una regione cerniera, a metà fra il Nord e il Mezzogiorno. Sicuramente più forte e attrezzata rispetto alle regioni meridionali, che in parte reagisce alla crisi e cerca di preparare la ripresa (e qui nasce una parola nuova: resiliente), che però è ancora lontana dalle regioni del Centro e del Nord, dal grado di crescita economica e sociale che da tanti anni prova a raggiungere. In questa ricorsa decennale c'è però un problema nuovo. E serio. Come ha spiegato Adriano Giannola, il presidente dello Svimez, quando a Pescara ha illustrato l'ultimo rapporto sullo stato del Mezzogiorno (che alleghiamo all'articolo): il nostro Paese rischia di non avere più un modello da inseguire, sia quello Adriatico sia quello più generico del Nord, di quel locomotore produttivo e più efficiente (in parte) che ha tirato l'Italia fuori dalle secche della povertà. Se tutto Il Paese perde terreno e perde pezzi, Nord compreso, vuol dire che dentro l'Europa si sta allargando lo spazio di quei territori che rischiano di essere tagliati fuori dallo sviluppo o di essere risucchiati nel vortice dell'arretratezza. Figurarsi il Mezzogiorno. Così, in un incontro che PescarAbruzzo ha recentemente organizzato nel capoluogo adriatico, sono venuti fuori alcuni numeri che servono a rendere l'idea di quel che accade, delle debolezze abruzzesi e dei suoi relativi punti di forza. E che danno una lettura ancora una volta ambivalente. Nel 2012 il Pil regionale è sceso del 3,6%, un punto oltre la media italiana. Questa regione dunque s'è rimangiata la mini-ripresa del biennio precedente (+1,3 e +0,2) e la sua ricchezza nei cinque anni della crisi è scesa ancora di più rispetto al dato nazionale (il differenziale è dell'1,7%), ma è anche vero che rispetto alla catastrofe del Mezzogiorno, dove il Pil è crollato del 10,1%, l'Abruzzo se l'è cavata meglio. Se guardiamo ai numeri secchi, la ricchezza procapite nel decennio 2000-2010 è cresciuta di oltre 2000 euro, e tuttavia l'arretramento si coglie leggendo la classifica delle regioni europee, dove l'Abruzzo passa dal 127° al 164° posto. Tutto ciò mentre il Mezzogiorno italiano precipita di almeno 40 posizioni. La solita storia del Sud che non va? Solo in parte, perché la novità è proprio la frenata del Centro-Nord, dove negli ultimi cinque anni (2007-2012) il tasso di crescita ha ceduto il 5,8%. Anni difficili per tutti ovviamente, ma una parte d'Europa è cresciuta lo stesso: la Germania al ritmo del 3,6% e la Francia dello 0,5%. Vale poco, come si affretta a fare qualche politico, affermare che questo risultato pone l'Abruzzo vicino alle regioni più ricche e sviluppate. Una magra consolazione se persino l'Emilia Romagna scende dal 19° al 44° posto della graduatoria europea, o se il Veneto passa dal 28° al 55°. Se vogliamo invertire la marcia la ricetta è sempre la stessa: tornare a crescere. Lo è anche per il presidente dello Svimez, secondo il quale lo sviluppo è diventato un fattore decisivo se si vuole evitare la "desertificazione industriale", la disoccupazione e i consumi a picco. Siamo sull'altra parte della luna rispetto alle politiche europee (e italiane) che hanno portato ai risultati che conosciamo, a un approccio agli antipodi rispetto alle politiche di austerity. Inutile dire che tutto ciò ha acceso il dibattito e scaldato gli interventi. Per qualcuno bisogna puntare su ricerca, innovazione, internazionalizzazione e riduzione fiscale (difficile trovare chi non è d'accordo), per altri le aziende sono troppo piccole per competere, per il sottosegretario Legnini la ricostruzione dell'Aquila e gli investimenti alla Sevel di Atessa possono accelerare la ripresa (insieme ad interventi in agricoltura, agroalimentare e turismo). Due fra i tanti, infine, i temi sollevati da Nicola Mattoscio, presidente di PescarAbruzzo e padrone di casa: la disoccupazione (9 punti in più sulla Ue, 21 punti considerando il dato femminile) e le difficoltà di governare e decidere in una regione come questa, in cui ogni territorio, ogni città e ogni provincia sembrano viaggiare per conto proprio mentre ci vorrebbe una visione e una politica unitaria. |
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