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Data: 05/07/2013

La Boldrini a Marchionne: niente visita alla Sevel di Atessa

La Boldrini a Marchionne: niente visita alla Sevel di Atessa
La Presidente della Camera declina l'invito del manager e parla dei temi del lavoro

Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, ha declinato l'invito che Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, le ha rivolto per visitare il 9 luglio lo stabilimento Sevel di Atessa. La Boldrini, terza carica dello Stato, ha risposto al manager Fiat con una lettera nella quale ricorda che i suoi impegni istituzionali le impediscono di essere in Abruzzo la prossima settimana insieme allo stesso Marchionne, che ad Atessa illustrerà i futuri programmi per la più grande fabbrica europea di veicoli commerciali, dove oltre 6.000 dipendenti (e i lavoratori dell'indotto) producono il furgone Ducato.

La presidentessa della Camera tuttavia non si limita ad una risposta strettamente istituzionale e formale, ma dice la sua sui temi del lavoro, sulla crisi economica, sull'ansia e la preoccupazione delle famiglie e dei precari. E lo fa in una lettera nella quale esprime con chiarezza la sua opinione e che riportiamo integralmente.

Per parte nostra ci limitiamo a osservare che queste parole arrivano il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori laddove statuiva che il diritto di rappresentanza valeva soltanto per le sigle sindacali firmatarie del contratto. Una decisione che ha dato ragione alla battaglia della Fiom sconfiggendo la linea seguita dall'amministratore delegato della Fiat. Di seguito il testo della lettera.

 

"Gentile dott. Marchionne,

La ringrazio per la sua cortese lettera del 28 giugno e per l'invito che mi ha rivolto. Lei ha giustamente notato il mio interessamento ai temi del lavoro, in questa particolare fase di crisi economica. Non si tratta soltanto di sensibilità personale. Ritengo un dovere per chi rappresenta le istituzioni dedicare il massimo impegno al tema del lavoro in tutte le sue declinazioni: la disoccupazione giovanile, la precarietà, la perdita del posto per persone non più giovani e con famiglia. Così come il lavoro da reinventare e ripensare sotto nuove forme e in chiave di innovazione e di produttività. Cerco, per questa ragione, di sollecitare, per quanto è nelle mie facoltà, l'esame di proposte di legge di iniziativa governativa o parlamentare che si propongono di stimolare e incoraggiare nuova occupazione. E cerco quanto più possibile di incontrare sia le delegazioni di lavoratori che vengono a Roma per far sentire la loro voce al Governo e al Parlamento, sia i piccoli e medi imprenditori che tentano una via di uscita dalla crisi. Sarebbe grave se in un momento così difficile per le famiglie italiane i Palazzi della politica si chiudessero in se stessi e non si mostrassero aperti a tali istanze.

Questi incontri, e i tanti che svolgo nelle città italiane, insieme alle decine di migliaia di lettere e messaggi che ho ricevuto finora, mi danno il senso dello stato di salute della nostra economia e dei suoi numerosi punti di criticità. In particolare emerge la portata del processo di deindustrializzazione che colpisce aree sempre più vaste del nostro Paese. Per ogni fabbrica che chiude e per ogni impresa che trasferisce la produzione all'estero, centinaia di famiglie precipitano nel disagio sociale e il nostro sistema economico diventa più povero e più debole nella competizione internazionale.

Siamo consapevoli che bisogna invertire quanto prima questa tendenza e ognuno di noi può fare qualcosa di utile. La politica, certamente, ma anche il mondo sindacale e quello imprenditoriale. Tutti siamo chiamati a sfide nuove. La mia esperienza di vita e di lavoro mi ha spinto a guardare tutto questo in un'ottica globale e a rendermi conto che non servono soluzioni di corto respiro. Il livello e l'impatto della crisi sono tali da imporre un progetto del tutto nuovo, una politica industriale che consenta una crescita reale, basata su modelli di sviluppo sostenibile tanto a livello economico, quanto sociale e ambientale.

Lei concorderà che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove. Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell'innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non è affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa. Tutto questo mi porta a guardare con particolare interesse alla condizione e al ruolo della Fiat, sia in Italia sia all'estero, e ascoltare le ragioni di quanti partecipano attivamente a una realtà così importante. Impegni istituzionali già in agenda purtroppo non mi consentono di accogliere l'invito alla cerimonia del 9 luglio in Val di Sangro. Certa che non mancheranno ulteriori occasioni di confronto, Le invio i più cordiali saluti."


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