Sono passati 25 anni ma il ricordo di quell'iniziativa, tra le azioni intraprese dalla Cgil per la creazione dei parchi nazionali in Abruzzo, è ancora vivo nella mente dei protagonisti. Fu una proposta - l'istituzione della Riserva del monte Genzana - che mobilitò il sindacato peligno e approfondì la discussione sulla qualità e i limiti dello sviluppo. Temi tuttora attualissimi riproposti in un convegno tenuto il 10 ottobre a Pettorano che Mimì D'Aurora, allora segretario generale della Camera del lavoro di Sulmona, ha voluto ricordare nella relazione che pubblichiamo e che approfondisce il ruolo che su questo tema ha avuto la Cgil.
di Mimì D'Aurora
Venticinque anni fa uscì un numero speciale della rivista della Cgil abruzzese "Elle" nel quale la Camera del lavoro di Sulmona presentava con ampio rilievo la proposta di istituzione della Riserva del monte Genzana.
L'obiettivo era quello di dare il massimo risalto ai contenuti di una proposta sulla quale da alcuni mesi si stava lavorando e che nasceva all'interno di una storia più grande. Una storia che ci portò ad immaginare le nostre aree montane come una grande risorsa per uno sviluppo integrato che fondasse sulla messa in valore del territorio, del suo ambiente, del suo eccezionale patrimonio faunistico, dei suoi borghi, della sua cultura, dei suoi prodotti tipici, del suo artigianato. Il territorio montano non più come gabbia da cui fuggire ma grande risorsa per costruire il futuro. Grazie a quella spinta e quelle lotte, che nascevano dall'esperienza di sviluppo sostenibile maturata dal Parco d'Abruzzo, si realizzò il sistema di parchi e riserve che hanno fatto dell'Abruzzo la Regione Verde d'Europa. Una vicenda che ha segnato profondamente la storia e l'identità stessa della Regione e ha definito la natura e l'identità della Cgil abruzzese...
Alla fine degli anni '70 la Cgil di Sulmona, in quel momento guidata da Gianni Melilla, in un convegno a Pescasseroli scelse di adottare il modello Parco Nazionale d'Abruzzo come possibile strumento di promozione socio economica e di tutela ambientale dell'Alto Sangro. La nuova idea di parco che Tassi e lo staff di giovani tecnici che lo affiancano (fra i quali Peppe Rossi e Nicola Cimini) cercò di affermare il pieno consenso della Camera del Lavoro, che fece proprie le sue analisi e le sue proposte. Una tutela rigorosa dell'ambiente, al di là del suo valore etico-morale, qualifica l'offerta di un prodotto che in maggior misura incentiverà il fenomeno crescente del turismo naturalistico, vero volano dello sviluppo collegato al Parco. Quindi le risposte vanno trovate non contro i vincoli che il parco pone ma all'interno delle possibilità che offre. Per la prima volta un'organizzazione sindacale si occupò del valore in sé del patrimonio naturalistico e ambientale ed intuì che dalla sua conservazione possono derivarne non limitazioni alla crescita ma nuove opportunità per le popolazioni interessate. Si passò da un'idea di sfruttamento a un'idea di valorizzazione del territorio attraverso lo strumento della tutela naturalistica e ambientale. Si delinearono i contorni di una nuova frontiera dello sviluppo per il sindacato, che induce a ripensare la sua analisi e la sua strategia. L'idea di fondo che ha sempre pervaso l'iniziativa del sindacato e dell'intera sinistra era che il progresso, cioè la crescita del benessere collettivo e l'obiettivo della piena occupazione, si fondasse su uno sviluppo illimitato. Un'idea che ignorava cioè il concetto di limite delle risorse disponibili e richiedeva la rimozione di tutto ciò che ostacolava il suo cammino. Il PNA e la tutela ambientale venivano infatti percepiti come ostacolo allo sviluppo delle aree montane. Uno sviluppo che per tutti gli anni '60 e '70 si fondò sulla politica edificatoria in quello che veniva definito il modello Roccaraso e che aveva devastato le montagne abruzzesi. La Cgil quindi, invece di raccogliere l'appello degli edili a far riaprire i cantieri bloccati dalla magistratura, indicò una diversa prospettiva che investe sul futuro. Con lungimiranza, per quei tempi quasi eretica, parliamo di 36 anni fa, la Camera del Lavoro di Sulmona cominciò ad elaborare una piattaforma rivendicativa basata su un progetto volto a creare un modello originale di sviluppo delle zone montane, che avrebbe dovuto unire la tutela dell'ambiente con la valorizzazione economica e sociale. Cominciò cioè ad assumere nel suo orizzonte il concetto di sostenibilità dello sviluppo, anticipando di 10-15 anni l'approdo su queste posizioni da parte della sinistra e della stessa Cgil a livello nazionale.
Per la prima volta una grande forza sociale riconobbe a Franco Tassi, l'allora direttore del PNA, il valore della sua azione di profondo rinnovamento nella difesa dell'ambiente contro gli assalti speculativi e nel rilancio del ruolo e del prestigio del Parco, e in qualche modo si schierò al suo fianco rompendo l'isolamento e l'accerchiamento in atto ai suoi danni e a quelli del Parco. Tutto questo produsse effetti benefici per entrambi e aumentò l'autorevolezza della Cgil.
A Pescasseroli e a Villetta Barrea si ebbero altri quattro convegni di approfondimento, fino all'elaborazione nel 1983 di una proposta organica basata su uno studio della cooperativa Progettazione Integrata che prevedeva per l'Abruzzo cinque Parchi Naturali più varie riserve regionali. Seguirono iniziative pubbliche nell'85, a L'Aquila e Isola del Gran Sasso per il Parco del Gran Sasso, a Sulmona e Chieti per la Majella, nell'86 a Morino per la Riserva di "Zompo lo Schioppo" e il Parco dei Simbruini Ernici, a Teramo per i Monti della Laga. Ma soprattutto centinaia di assemblee, dibattiti e tavole rotonde che fecero crescere fra i lavoratori una forte cultura ambientalistica che trovò la sua espressione più alta nelle 30.000 firme raccolte in un mese in calce a una petizione della Cgil Abruzzo al consiglio regionale e al Parlamento nazionale. La petizione segnò una svolta politica di rilievo determinante, in quanto gli incontri avuti in occasione della consegna delle casse piene di firme alle Commissioni Ambiente di Camera e Senato si conclusero con un plauso all'iniziativa e l'impegno ad inserire alcune aree abruzzesi (Gran Sasso-Laga e Majella) nei futuri parchi nazionali, nell'ambito della legge quadro in via di definizione. Ciò che fece impressione fu la constatazione che un'organizzazione sindacale affermava che il patrimonio naturalistico ambientale costituito dalle montagne abruzzesi andava salvaguardato anche se non avesse prodotto ricadute economiche, e soprattutto che i nuovi parchi non erano un'esigenza del mondo ambientalista ma avevano un sostegno di massa, anche fra i cittadini e nel mondo del lavoro.
E' evidente che questo bagaglio di lotte per l'ambiente ci induceva a leggere a tutto tondo la visione dello sviluppo della regione all'interno di una rigorosa sostenibilità. Abbiamo sostenuto e a ragione che le nostre aree protette ci indicavano un modello da seguire nel rapporto con l'insieme del territorio. La regione con la più alta concentrazione di suolo tutelato non può non essere una regione all'avanguardia nella programmazione di uno sviluppo all'insegna della sostenibilità e della green economy. Per questo la Cgil Abruzzo è stata sempre in prima fila insieme ai movimenti contro le devastazioni ambientali, anche quando abbiamo dovuto fare i conti dolorosamente con le ragioni del lavoro. Le nostre posizioni sono chiare sulla petrolizzazione dell'Abruzzo, l'impianto di biomasse ad Avezzano, la discarica di Bussi.
Innumerevoli sono state le nostre iniziative a sostegno dei parchi nel corso degli anni per rafforzarne il processo di insediamento, proposte atte a favorire la crescita di un'economia derivante dalla valorizzazione naturalistica e ambientale del territorio, la nostra proposta di legge regionale per l'utilizzo di Lsu nei parchi, la proposta di piano triennale per l'ambiente insieme a Legambiente dedicato al sostegno delle aree protette.
Siamo convinti che le aree protette abbiano dimostrato di poter influire positivamente sulla qualità del territorio, dell'economia e della cultura locale e regionale in quanto portatrici di un progetto che tiene insieme biodiversità, storia, cultura, tradizioni, buone pratiche di sostenibilità, attività economiche (agricoltura, ecoturismo, manutenzione del territorio, servizi, ecc), nuove forme di gestione del territorio, dunque meriterebbero non solo che si continuasse a valorizzare questo loro ruolo ma che si tornasse a farne un elemento di positiva contaminazione rispetto al territorio circostante, nello spirito delle battaglie e delle impostazioni affermatesi nel corso degli anni '80.
La sensazione è che si sia rifiutato o impedito qualsiasi forma di contaminazione positiva sul resto del territorio regionale da parte del più importante sistema di aree protette del paese, che nel frattempo si è arricchito di aree protette anche sulla costa. Come dire, la questione ambientale l'abbiamo affrontata con i parchi, sul resto mano libera.
Possiamo citare il paradosso fra essere la Regione Verde d'Europa che fa del turismo costiero uno dei suoi maggiori punti di forza e avere una depurazione delle acque che ci vede agli ultimi posti delle graduatorie nazionali. Tutto avrebbe dovuto portare il segno di questa grande realtà abruzzese, costituirne il marchio di qualità. Ci troviamo invece, spesso, di fronte a slogan di facciata. Non possiamo che esprimere grande stupore di fronte alle spinte carsiche a rilanciare il modello Roccaraso come asse strategico dello sviluppo della montagna o la nuova richiesta di manomissione del Gran Sasso. Purtroppo i pericoli di ritorni indietro sono sempre presenti.
La Regione sembra interessata a rilanciare il progetto APE nell'ambito di un progetto nazionale più ampio chiamato "Montagne del Mediterraneo". Noi siamo d'accordo con l'idea, più volte ne abbiamo sollecitato il rilancio perché è un'idea che partendo dai parchi può dare impulso all'intera montagna abruzzese e interromperne i processi di marginalizzazione accelerati dalla crisi e dall'assenza di nuovi strumenti di programmazione dedicati...
Alla fine degli anni Ottanta e la situazione che si delineava era che il Genzana sarebbe rimasto fuori dal sistema delle aree protette abruzzesi che si andava definendo con il varo, ormai prossimo, della legge quadro sui parchi. Era sfuggita a tutti l'importanza di questo vitale corridoio di scambio faunistico fra Parco d'Abruzzo e il futuro Parco della Majella, in particolare per la presenza dell'orso. Mi perdonerete se inserirò alcune notazioni di carattere personale ma, e questo vale per tutti i protagonisti di questa vicenda, le grandi battaglie si fanno con la passione e col cuore, senza i quali ci si arrende alle prime difficoltà. Questa è invece una storia portata avanti con grande ostinazione da chi ha creduto in questo obiettivo. Ho vissuto con angoscia l'idea del Genzana fuori da ogni tutela, era la consapevolezza del suo immenso valore naturalistico e ambientale. Avvertivo la responsabilità storica dell'impegno a consegnarlo integro ai nostri figli, di non renderci responsabili della sua devastazione o di esserne testimoni inermi e silenziosi. Lo esigevano la bellezza mozzafiato della teoria delle sue valli, la coltre ininterrotta di boschi, la fauna eccezionale che ospita. Anche allora l'orso si avvicinava spesso al paese per fare incetta di frutta e ortaggi. Si limitava a questo, non frequentava i pollai allora. Come non considerare la sua presenza nelle nostre valli e addirittura vicino le nostre case un privilegio che ci veniva concesso?
L'esperienza accumulata ci diceva che investire nella tutela del patrimonio di risorse naturali del Genzana, legandolo al valore delle bellezze architettoniche del borgo, avrebbe potuto finalmente indicare una via nuova di futuro per il paese, che ne tracciasse il carattere identitario. La conservazione, lungi dall'essere un problema, poteva essere un volano per creare nuove opportunità, rendere più bello il viverci, essere attrattivo per gli altri, in grado di dare ricadute occupazionali o di intrapresa in piccole attività grazie anche alle risorse pubbliche che si sarebbero potute ottenere per la gestione dell'area. Avrebbe potuto cambiare le sorti del paese. Ancora più terribile era constatare l'incredulità rispetto alla possibilità di concretizzare questa visione. Al massimo, fra i pochi che non erano contro, prevaleva lo scetticismo sulla possibilità di vincere il blocco culturale contro l'ipotesi di mettere i vincoli al territorio. Le difficoltà erano tante ma sapevo che se non fossimo partiti sull'onda di quel movimento che si era creato in regione a sostegno del sistema di parchi avremmo perso l'occasione. Il tempo era allora. Bisognava partire sfidando l'impossibile con l'idea di allargare via via il consenso.
Il Genzana poteva essere un'occasione per articolare dal basso il progetto di Regione Verde perché in realtà in tanti comuni (allora c'era l'esempio di Lama dei Peligni o dei comuni molisani delle Mainarde, che chiedevano l'ingresso nel PNA) per i cittadini e tanti amministratori locali cominciava a diventare chiaro che operare attivamente nella tutela e valorizzazione del proprio territorio poteva portare indubbi benefici e ricadute sull'economia locale, in particolare sulle attività collegate al turismo naturalistico. Noi avremmo potuto spendere l'autorevolezza che come Cgil avevamo conquistato su quei temi fino ad allora. Era necessario cominciare a costruire il percorso verso la tutela del Genzana come volano di sviluppo dell'area interessata e come Camera del Lavoro non potevamo che avere come riferimento l'intero monte. Avremmo iniziato da Pettorano, verificando via via le altre adesioni.
Il primo passo fu compiuto nell'autunno dell'89, quando, insieme a Dario Febbo, allora presidente regionale di Legambiente, ci incontrammo con il sindaco di Pettorano, Pietro Monaco, del Pci, per cominciare a sondare il terreno. Dario, sempre molto pragmatico, insistette sull'incontro perché riteneva necessario che da quel momento in poi si dovesse sapere che in campo comunque c'era una proposta per il Genzana di cui tenere conto. Pietro non respinse l'idea di aprire un confronto ma considerava prematuri i tempi e non nascose il suo scetticismo rispetto alla possibilità di successo della proposta, ritenendo difficile superare il clima di diffidenza e ostilità fra i cittadini in particolare... su qui temi e soprattutto le rigidità dei cacciatori, e con le imminenti elezioni della primavera successiva.
In realtà vi era una forte esigenza di ridefinire l'idea di sviluppo futuro del paese nel dibattito all'interno della locale sezione del Pci, avvertita in particolare dai giovani e anche all'interno dell'amministrazione, fra questi il futuro presidente del PNALM, Antonio Carrara, e Marcello Bonitatibus. Un'area molto più disponibile a misurarsi con le proposte della Cgil. Tuttavia l'amministrazione prima delle elezioni deliberò la concessione di una parte del territorio del Genzana ai cacciatori per la realizzazione di un'Azienda faunistica venatoria autogestita, chiarendo che in prospettiva si aveva in mente un progetto più complessivo di tutela ambientale con un'azione coordinata con le proposte di altre associazioni ambientaliste. In un'altra delibera si decise di approvare la costituzione della riserva guidata del Gizio.
Uno dei passaggi fondamentali fu l'incontro con Franco Tassi a margine del convegno di Abruzzo Regione Verde d'Europa del 20 gennaio 1990 a L'Aquila. Tassi considerò con entusiasmo l'iniziativa garantendo il sostegno del PNA nell'impresa e mettendo a disposizione uno dei migliori esperti dell'ente, Giorgio Boscagli. Nelle varie ipotesi di tutela non nascose il suo interesse per una annessione del Genzana nel PNA Era evidente che appoggiare un'iniziativa partita dal basso in località molto prossime ai confine del parco voleva dire che il parco raccolse un riconoscimento per il lavoro di sensibilizzazione che stava svolgendo. Ma era chiaro che la richiesta della Cgil di Sulmona di sperimentare sul campo l'ipotesi di sviluppo sostenibile della montagna s'integrava con l'interesse a realizzare una riserva che funga da corridoio faunistico fra tre parchi.
A marzo la Camera del Lavoro di Sulmona formalizzò la proposta inviando una lettera ai 7 sindaci dei comuni ricadenti nel territorio del Genzana. In essa si chiariva di aver sottoposto da alcuni mesi al Comune di Pettorano un'ipotesi di tutela integrale del Genzana che comprendeva anche l'eventuale inclusione nel PNA , stante l'alto valore del suo patrimonio naturalistico e ambientale e soprattutto la presenza dell'orso. Indicammo come per noi il futuro di questi paesi risieda nella valorizzazione delle loro più grandi risorse: il patrimonio storico architettonico degli antichi borghi nell'immenso patrimonio naturalistico ambientale del Genzana... Ricordiamo inoltre l'indicazione di coinvolgere i cacciatori con l'obiettivo di realizzare alcune aree autogestite al fine di contenere la pressione venatoria.
Successivamente la sinistra perse le elezioni a Pettorano e lo scenario divenne incerto. La Cgil organizzò la festa del 1° maggio a Pettorano e presentò pubblicamente la proposta di tutela del Genzana. Grazie a un volantinaggio distribuito sul Treno verde del 20 maggio, organizzato dal PNA, la proposta del sindacato venne pubblicata sull'Espresso con un giudizio di apprezzamento sul ruolo da noi svolto: "La proposta della Cgil, si legge nel documento, nasce dalla convinzione che il futuro economico dei paesi abruzzesi risieda nella valorizzazione anche turistica del patrimonio storico ambientale e naturalistico: parole impensabili, ancora fino a qualche anno fa, quando tutti puntavano sullo sviluppo legato agli impianti sciistici e alle lottizzazioni."
Si cominciò quindi a costruire una rete più solida intorno al progetto, e si raccolsero altre adesioni. Si costituì formalmente una task-force, termine caro a Boscagli, composta dalla Camera del Lavoro di Sulmona, PNA, WWF e Legambiente regionali, nelle persone di D'Aurora, Boscagli, Pellegrini e Febbo, che da allora opererà all'unisono nel sostenere la proposta di tutela e diventerà il comitato promotore della Riserva. Condivisero la proposta anche Franco Volpe, impegnato sul versante più difficile del Genzana (quello di Introdacqua), Mario Pizzola, consigliere provinciale dei Verdi, e soprattutto Nico Savocchio, sindaco di Rocca Pia, che si schierò a favore della proposta. Tutti scrissero le loro valutazioni, sia scientifiche che politiche, sull'ormai storico numero speciale di "Elle" che presto diventò l'emblema di quella battaglia.
Nella sezione del PCI l'esigenza di raddrizzare la schiena dopo la sconfitta elettorale, e quella di avere una proposta forte da mettere in campo su cui ricominciare a fare politica, indusse i più giovani a forzare il difficile dibattito interno e schierarsi a favore della proposta di tutela da noi avanzata. Nel frattempo fiorirono altre iniziative come la nascita di una sezione locale del Wwf mentre la neonata associazione De Stephanis organizzò la marcia ecologica per il Genzana, che ripeterà anche gli anni successivi. In un incontro con la nuova amministrazione illustrammo le ragioni della nostra proposta e ricevemmo caute disponibilità su obiettivi minimi di partenza: chiusura immediata delle strade di accesso in montagna, realizzazione autogestita di caccia, organizzazione in oasi naturalistiche delle aree di maggiore pregio.
Ai primi di agosto, all'interno della Festa dell'Unità, la sezione del Pci organizzò una tavola rotonda dal titolo "Riserva naturale monte Genzana e sviluppo di Pettorano sul Gizio" nella quale fui chiamato ad illustrare la proposta della Cgil e a discuterne con Boscagli, Febbo, Pellegrini ed Enrico Paolini, allora segretario regionale del Pci nonché coordinatore del progetto ARVE... Fu una buona occasione per parlare del progetto a una nutrita platea di cittadini. Non andò cosi bene ad Introdacqua, dove un'analoga iniziativa fu praticamente resa deserta da un cordone di cacciatori locali, notoriamente i più coriacei.
L'amministrazione, che nel frattempo aveva cercato di impedire lo svolgimento della festa - ricordo che fu chiesto l'intervento del Prefetto - non gradì che il Pci si schierasse apertamente a favore della Riserva e in pratica si riprese la sua disponibilità. In un incontro successivo tra l'amministrazione il comitato promotore e i cacciatori la parte più retriva ci annunciò che stante la natura dei loro cani, adatti solo alla caccia sul Genzana, nessuna ipotesi di tutela poteva riguardare l'area. Fu un incontro molto duro, senza possibilità di dialogo. All'uscita ricordo ancora le parole profetiche di Giorgio Boscagli: da adesso ognuno spara le proprie cartucce. L'amministrazione deliberò l'affidamento ai cacciatori dell'intero Genzana per la costituzione di un'azienda venatoria autogestita che avrebbe escluso solo il vallone Margherita. Fu una bocciatura totale delle nostre richieste che commentai amaramente sul foglio locale "la Piazza" evocando la gerarchia sociale di Silone in Fontamara, nella quale i cani del principe vengono prima dei cafoni, e qui venivano prima degli interessi del paese. Per una lunga fase la vicenda rimane comunque confinata nell'ambito dell'attività venatorie, perché Boscagli quale componente della consulta della caccia della provincia riuscì ad ottenere, spalleggiato dal Parco e sostenuto da Febbo e Pellegrini, l'estensione del divieto di caccia sull'intero Genzana... Questo passaggio, seguito successivamente dall'inserimento del Genzana in un Sic, costituì uno dei passaggi più importanti, una vera tappa intermedia verso l'istituzione della Riserva. Una volta bloccata la caccia gli altri vincoli non pesano. Ci furono reazioni violente, ricorsi al Tar, ricorsi continui contro la decisone della provincia. Ma grazie alla presenza dell'orso si riuscì ad ottenere il pronunciamento favorevole - anzi la raccomandazione - anche del Ministro dell'Ambiente al mantenimento della ZRC. Nel tentativo di diffondere il più possibile la conoscenza dell'importanza delle nuove aree protette e spiegare l'eco-sviluppo, la Camera del Lavoro di Sulmona organizzò un ciclo di conferenze nelle scuole superiori che ripetevamo la sera a Pettorano con l'associazione De Stephanis. La prima fu tenuta da Franco Tassi al teatro comunale di Sulmona, stracolmo di ragazze e ragazzi. A seguire le altre con Rossi, Febbo, Boscagli, Pellegrini...
C'era una parte sana dei cacciatori con i quali abbiamo sempre dialogato, che erano disponibili a costruire una soluzione condivisa e con i quali organizzammo innumerevoli riunioni anche a Rocca Pia per costruire un'ipotesi che riguardasse i due comuni. Ipotesi che cessò perché il prezioso contributo di Nico Savocchio venne meno per problemi amministrativi e Rocca Pia usci dal progetto. Non venne meno però la volontà di costruire una soluzione condivisa, che nel dicembre del '91 trovammo con il presidente dei cacciatori locali, Andrea Indiciani. Probabilmente fu un dei primi accordi mai realizzati fra cacciatori e ambientalisti, nel quale ipotizzavamo con una cartina allegata l'area da destinare alla Riserva (la parte medio-alta del monte) mentre la parte bassa veniva destinata ad azienda autogestita. Quell'accordo avrebbe risolto anche i problemi dell'amministrazione perché non c'era più la scusa della contrarietà dei cacciatori, tuttavia anche quell'accordo venne purtroppo letto come uno "sfregio" politico dall'amministrazione, che riuscì a farlo saltare creando una spaccatura fra i cacciatori. Mentre continuava a resistere il divieto di caccia la società Acquanova riconsegnò i risultati di uno studio commissionato dall'Enel per un progetto di valorizzazione ambientale del fiume Gizio. Le conclusioni erano sorprendentemente simili alle nostre richieste: "...si propone di istituire una Riserva naturale" che loro stimarono in 3114 ettari (in realtà avevano letto i nostri documenti). Le cose cambiano radicalmente nel '95, quando dopo le elezioni si ebbe un capovolgimento di fronte ed entrò in amministrazione la minoranza del Pds, mentre anche il nuovo presidente del consiglio regionale, Gianni Melilla, si rese disponibile a presentare una proposta di legge. Ora gli ingredienti c'erano tutti... Sul nuovo strumento della Riserva venivano riposte grandi aspettative per le sorti del paese, grazie anche alle risorse pubbliche che avrebbe portato in dote. Soprattutto si capovolse la logica del meno vincoli possibile e si decise, unico caso in Abruzzo, di inserire l'intero centro storico dentro la Riserva. Giorgio Boscagli prese l'incarico di preparare il testo di legge interfacciandolo con il resto del comitato promotore e ovviamente con l'amministrazione. Il 28 novembre il Genzana e l'Alto Gizio diventarono riserva regionale...
Oggi la Riserva è una grande e importante realtà nel sistema delle aree protette e svolge un'importante funzione di tutela di quel corridoio faunistico, in particolare per la presenza stabile di alcuni esemplari di orso. Ha fatto molta strada e si è strutturata grazie al lavoro dei suoi tecnici. Soprattutto è l'emblema del paese e il motore propulsivo di ciò che ruota intorno a Pettorano.
Oggi le Riserve regionali costituiscono un'importante realtà nella regione, spesso laboratorio di dinamismo di un nuovo modello di sviluppo per i paesi interessati, e nonostante possa essere considerata come il quinto parco nazionale (per dimensione e rilevanza naturalistica) per la riserva del Genzana le risorse messe a disposizione dalla Regione sono purtroppo insufficienti. Mentre per i parchi nazionali e regionali manca una visione strategica del ruolo che potrebbero svolgere come motore di traino di una crescita legata alle buone pratiche che lì si realizzano: un'evidente assenza di una politica di sostegno e raccordo.
Secondo me è mancata anche la nostra azione mirata. La nascita dei parchi avrebbe dovuto far attrezzare le Camere del Lavoro ad aprire confronti con gli enti per costruire politiche del territorio che partendo dalla tutela e riqualificazione cercassero di promuovere occasioni di crescita e lavoro, sperimentando nuove vie. Tutto questo purtroppo non c'è stato anche perché abbiamo smantellato la nostra presenza confederale nel territorio ed è quindi cessata la nostra capacità di leggere nelle pieghe quali sono i punti di forza e di sofferenza nelle nostre realtà diffuse, in particolare in montagna. Da quanti anni non andiamo più con l'occhio della confederazione nei comuni dell'Alto Sangro, per costruire una nuova vertenza territoriale che metta in valore l'ambiente (fra le altre emergenze) alla ricerca di nuove occasioni di lavoro e superamento della crisi. Questa nostra assenza danneggia anche i parchi, che mancano di uno stimolo e di un indirizzo dal sociale e dal mondo del lavoro. Io spero che saremo capaci di superare questo limite ripensando noi stessi.
Questa è una storia che andava raccontata perché è una bella storia, perché è una storia corale che ha coinvolto più soggetti, ognuno con il proprio ruolo, ed ha avuto successo proprio per questo, perché è una storia andata a buon fine e ha fatto cambiare idea a molti di quelli che si opponevano; perché è giusto che i ragazzi conoscano le origini di questa realtà vanto del paese, che nasce da una lunga battaglia; perché questa storia ci insegna molte cose e soprattutto che le battaglie giuste vanno combattute anche quando appaiono impossibili. Perché la storia non si cancella. Infine la nostra documentazione è a disposizione affinché la Riserva la acquisisca finalmente come documentazione ufficiale, superando questo assurdo negazionismo della storia.