Una crescita dell'occupazione negli ultimi quattro anni c'è stata, da inizio 2014 alla fine del 2017, e tuttavia il recupero delle ore lavorate è stato soltanto parziale. Non solo: è peggiorata anche la qualità del lavoro, la sua stabilità, la percezione di non poter programmare un futuro per sé o la propria famiglia.
Queste considerazioni sono mosse dal rapporto sul lavoro presentato nei giorni scorsi dalla Fondazione Di Vittorio e dalla Cgil, uno studio che abbraccia gli ultimi anni e che è "strettamente collegato al carattere dell'occupazione". E' un documento che sottolinea ancora, se ce ne fosse bisogno, il prevalere del lavoro precario e a termine (si veda per l'Abruzzo il commento agli ultimi dati Istat di Sandro Del Fattore, segretario generale della Cgil regionale, alla news del 13 marzo), e che proponiamo insieme alla "fotografia" diffusa a febbraio dalla Fondazione Di Vittorio e dall'Istituto Tecnè. Uno studio dal quale emerge che "nonostante la crescita del Pil, la qualità dello sviluppo del Paese nel 2017 si ferma agli stessi livelli del 2016". Un fatto "determinato dalla permanenza di una grande area di povertà e da un'ancora più grande area di vulnerabilità economica e sociale", tale che "crescono le diseguaglianze e la forbice sociale si allarga, con la ricchezza che tende a concentrarsi nella popolazione ad alto reddito" e nelle regioni più sviluppate.
Tornando alla qualità dello sviluppo, si legge nello studio che "questo è strettamente collegato al carattere dell'occupazione". Infatti, "a dispetto dei proclami che hanno accompagnato il Jobs Act e l'introduzione del contratto a tutele crescenti, dal 2015 al 2017 il numero di assunzioni a tempo indeterminato è crollato dai 2 milioni del 2015 (anno dell'esonero contributivo per 36 mesi) a 1.176.000 del 2017 (-41,5%), a fronte di un notevole incremento delle assunzioni a termine (da 3.463.000 del 2015 a 4.812.000 del 2017, pari a +38,9%). Inoltre la variazione netta totale tra attivazioni e cessazioni del numero di rapporti di lavoro a tempo indeterminato è passata da +887mila del 2015 a -117mila del 2017, contestualmente la variazione netta dei rapporti a termine, che nel 2015 era stata negativa (-216mila) è tornata positiva nel 2016 (+248mila), arrivando l'anno scorso a +537mila.
Fatto è, evidenzia lo studio, che il rapporto a temine non è "nella grandissima maggioranza dei casi una scelta del lavoratore ma una soluzione imposta. La nuova occupazione a termine peraltro è sempre più part-time. Circa la metà dell'incremento delle assunzioni a termine registrato tra il 2015 e il 2017 (+1.349.000) è imputabile infatti a rapporti a tempo parziale (+689mila) e se nel 2015 le assunzioni con contratti a termine part-time sono state 1.248.000, nel 2017 sono salite a 1.937.000 con un incremento del 55,2%. "Nell'Unione Europea a 15 - si legge - oltre all'Italia, anche Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda presentano nel quarto trimestre 2017 un numero di ore lavorate inferiore rispetto ai livelli che precedono la crisi (primo trimestre 2008). In Italia però lo scarto tra le due variazioni (occupati e ore lavorate), entrambe negative, è particolarmente marcato. Questo andamento è legato al peggioramento della qualità dell'occupazione nel nostro Paese. Negli ultimi cinque anni infatti sono aumentati fortemente i part-time involontari, e soprattutto negli ultimi due anni le assunzioni a tempo determinato, portando l'area del disagio (attività lavorativa di carattere temporaneo oppure part-time involontario) a 4.571.000 persone, il dato più alto dall'inizio delle nostre rilevazioni. Peggiorano anche le condizioni dei lavoratori a tempo determinato, con un significativo incremento del part-time (+55% fra il 2015 e il 2017) e del numero dei contratti fino a 6 mesi, passati da meno di 1 milione nel 2013 a più di 1,4 milioni nel 2017".
Fulvio Fammoni, il presidente della Fondazione Di Vittorio, osserva dunque che "il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un'immagine molto parziale della condizione del lavoro in Italia, dove la qualità dell'occupazione è in progressivo e consistente peggioramento. È evidente dai dati che la ripresa non è in grado di generare occupazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, con una maggioranza di imprese che scommette prevalentemente su un futuro a breve e sulla competizione di costo. Come pure è evidente che è necessario intervenire sulle attuali norme legislative che regolano il mercato del lavoro e incidono in modo negativo sulla qualità del lavoro stesso".
Un quadro che va cambiato dunque, e per farlo la Cgil nazionale - con la segretaria confederale Tania Scacchetti - avanza la proposta di procedere su tre direttrici: l'aumento degli investimenti, il rafforzamento degli ammortizzatori e il riordino delle tipologie contrattuali. D'altra parte, spiega la sindacalista, se si vogliono "generare nuove opportunità di lavoro è indispensabile favorire gli investimenti, a partire da quelli pubblici. Inoltre servono ammortizzatori sociali universali, anche perché il ricorso al loro utilizzo, dopo aver registrato un picco negli anni acuti della crisi, oggi è pari al 2008: un dato condizionato anche dai cambiamenti che ne hanno determinato la diminuzione della capacità di copertura. Dunque riteniamo indispensabili gli strumenti che consentono effettivamente di accompagnare i processi di riqualificazione e riorganizzazione del lavoro con la garanzia del mantenimento dell'occupazione e del reddito per i lavoratori. Infine è necessario riordinare le tipologie contrattuali, vanno favoriti i contratti a tempo indeterminato e introdotti vincoli di deterrenza all'utilizzo di quelli a termine, a partire dal ripristino delle causali".
P.S. In allegato il documento di marzo sul lavoro