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Data: 17/03/2019

Lavoro e salari: l’Europa è più lontana

Lavoro e salari: l’Europa è più lontana
I risultati di uno studio sulle retribuzioni presentato dalla Fondazione Di Vittorio

C'è chi la chiama deflazione salariale, chi stagnazione degli stipendi, chi semplicemente retribuzioni povere, per lavori poco qualificati e poco retribuiti. Fatto è che la distanza fra l'Italia e gli altri cinque paesi della zona Euro più moderni e sviluppati (Germania, Francia, Olanda, Belgio e Spagna) è aumentata ancora, che i salari dei lavoratori dipendenti si muovono in modo diverso, come evidenzia uno studio che la Fondazione Di Vittorio ha presentato nei giorni scorsi e che chiarisce ancora, per l'ennesima volta, un punto dirimente del dibattito politico e sindacale: il divario italiano (quello medio, senza neppure considerare la particolare situazione nelle regioni meridionali) deriva soprattutto dalla carenza di investimenti pubblici e privati; la scarsa crescita delle retribuzioni è uno degli effetti, ma anche causa, dello scarso sviluppo del nostro paese e della permanente emergenza dei conti pubblici.
Considerazioni che prendono le mosse dallo studio sul tema "Retribuzioni e mercato del lavoro: l'Italia a confronto con le maggiori economie dell'Eurozona" svolto dalla Fondazione Di Vittorio, un lavoro sintetizzato nella nota che pubblichiamo di seguito e che si può leggere integralmente del rapporto allegato in questa pagina.

 

<Il report mette a confronto le retribuzioni del lavoro dipendente in Italia con quelle delle altre cinque maggiori economie dell'Eurozona, utilizzando dati elaborati dall'OCSE - osserva Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio - Nel 2017 le retribuzioni medie italiane nella statistica dell'OCSE sono pari a 29.214 euro lordi annui, in lievissima crescita rispetto al 2001, in diminuzione rispetto al 2010 e rispetto al biennio 2015-2016. Il divario nei livelli retributivi rispetto alle altre economie non solo è ampio ma si è andato allargando dal 2010 in poi. Le retribuzioni annue tedesche, invece, sono cresciute in modo consistente negli anni più recenti; in Francia, e in misura più contenuta anche in Olanda e Belgio, sono calate nel 2017 ma registrano comunque una crescita rispetto all'inizio degli anni 2000. Simile a quello italiano si presenta il caso della Spagna.
Il dato retributivo medio è calcolato dall'OCSE riportando tutte le retribuzioni a un impiego continuativo full-time. Procedura che consente di pervenire a un dato omogeneo e confrontabile fra i diversi Stati ma che non tiene conto degli effetti negativi sia sulle condizioni individuali, sia di come la forte crescita di lavori temporanei e part-time incide sul dato generale. Il part-time italiano, infatti, è fortemente cresciuto negli ultimi anni, prevalentemente nella sua componente involontaria, ed ha una penalizzazione sulla retribuzione oraria molto più alta della media europea... Così come incide fortemente la crescita della discontinuità nel lavoro degli oltre 3 milioni di lavoratori temporanei.
Questo comporta che circa 4,3 milioni di lavoratori dipendenti hanno una retribuzione lorda fino a 10mila euro l'anno, di cui 2,4 milioni arriva solo a 5mila euro. Questi dati incidono per una percentuale di lavoratori, sul totale degli occupati, di oltre il 32% fino a 10mila euro annui di reddito. Un divario che non si riduce neanche nel caso delle retribuzioni nette negli esempi presi a riferimento dall'OCSE relativamente ad alcune tipologie familiari. L'alta pressione fiscale sui salari italiani (imposta personale sul reddito e contributi a carico dei dipendenti), nel quadro di un cuneo fiscale complessivo sul costo del lavoro parimenti elevato, non produce alcun riequilibrio rispetto alla situazione osservata per le retribuzioni lorde.
I dati confermano che il divario negativo italiano sullo sviluppo non può essere riconducibile alle retribuzioni, il problema risiede invece, come anche l'ISTAT certifica nel suo ultimo "Report sull'andamento del PIL", principalmente nella carenza di investimenti (pubblici e privati), che determinano la bassa crescita e il ristagno della nostra base produttiva e occupazionale.
Il tema dei redditi può e deve essere affrontato in più modi: un intervento su quantità e qualità dell'occupazione, relativo allo scarso tasso di occupazione e al continuo incremento del lavoro povero; una nuova fase di contrattazione, a tutti i livelli, che aumenti assieme al salario nazionale la diffusione della contrattazione di 2° livello; una vera e importante riforma fiscale, di carattere fortemente progressivo, che recuperi risorse verso le retribuzioni.
Visto l'ampio distacco cumulato con altri paesi europei, occorrerà agire su tutte queste leve - conclude Fammoni - In una fase di sviluppo naturalmente sarebbe più semplice, ma all'obiezione, che sarà avanzata rispetto al consistente rallentamento dell'economia in atto si può rispondere che già troppe volte, anche nella fasi di ripresa, le retribuzioni dei lavoratori italiani non sono adeguatamente cresciute. In realtà la scarsa crescita delle retribuzioni è uno degli effetti, ma anche causa, dello scarso sviluppo del nostro paese: provoca gravi disagi alla condizione delle persone, fa lievitare un lavoro povero e rappresenta una delle cause della permanente situazione emergenziale dei conti pubblici italiani>.

 

P.S. In allegato il testo integrale dello studio


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