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Data: 10/11/2015

Legge Stabilità: una manovra che non crea lavoro e frena la crescita

Legge Stabilità: una manovra che non crea lavoro e frena la crescita
Il giudizio della Cgil, il documento consegnato al Parlamento e la "corda" dei vincoli europei

<La manovra annunciata per la Legge di Stabilità 2016 non è espansiva. I pochi margini di flessibilità di Bilancio, che consentirebbero l'utilizzo di maggiori risorse, derivano da un rallentamento dell'austerità, quindi sempre sotto il vincolo europeo del 3%, al di sopra del quale è lecito parlare di politica espansiva. Il governo dichiara infatti di affrontare le difficoltà dell'economia... rivedendo e attenuando la velocità del consolidamento fiscale. Lo scarto su cui si dovrebbero recuperare più risorse sta dunque tra il nuovo deficit del 2,4% e il dato dell'indebitamento netto tendenziale (quello sulla carta, in assenza di interventi e sulla base della normativa vigente, comprese le famigerate clausole di salvaguardia) che nel 2016 sarebbe pari all'1,4% del Pil. Peraltro il nuovo obiettivo andrebbe confrontato con quello previsto nel DEF di aprile scorso, in cui l'indebitamento netto 2015 era previsto all'1,8%, come stabilito già dall'agenda Monti. In ogni caso, rispetto all'attuale 2,6% il deficit non viene aumentato ma viene ridotto, e i margini di spesa si contraggono da un anno all'altro, sicché si realizzerà comunque un saldo primario di almeno 30 miliardi di euro>.
E' con queste parole, molto chiare nel descrivere quel che accade in Italia e negli uffici dell'Unione Europea, che la Cgil nazionale giudica la manovra che il governo si appresta a varare con la Legge di stabilità per il prossimo anno. Scelte politiche e finanziarie che si vogliono ancora sottoposte alla ghigliottina europea del vicolo del 3% e che sono ben lontane da quella flessibilità suggerita dall'obiettivo di riprendere la via della crescita e del lavoro, a quasi sette anni dall'inizio della crisi.
<Un utilizzo della flessibilità, peraltro, che per l'Italia è previsto solo per un anno, tale che anche negli anni successivi continuerà ad aumentare progressivamente e nettamente l'avanzo primario. Un'austerità flessibile che prevede anche uno scambio senza ritorno con le cosiddette riforme strutturali, a cominciare da quelle sul mercato del lavoro, sulle pensioni e sull'istruzione, imposte dalla governance europea a prescindere dal contesto nazionale, a scapito del lavoro, del welfare e dell'economia pubblica>.

Eppure ormai è chiaro, conclude la Cgil nazionale, <che nuovi tagli della spesa pubblica e una politica iniqua delle entrate alimentano recessione economica, depressione occupazionale e spirale deflazionistica>. Malgrado gli annunci quindi <il governo non ha aperto nessuna vertenza europea. Anzi, visto il peso dell'economia italiana la progressiva restrizione dei margini di deficit spending ridimensiona l'intero indebitamento netto dell'Area Euro, riducendo le possibilità di una politica economica espansiva sovranazionale>.

 

 

P.S. Sin qui il commento, al quale alleghiamo il documento consegnato dalla Cgil nel corso dell'audizione parlamentare.


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