L'ultimo allarme riguarda addirittura l'impossibilità per i piccoli Comuni di emanare gli atti necessari alla normale vita amministrativa. Un timore fondato se oltre cento amministrazioni comunali dell'Abruzzo interno non possono contare (almeno non per il tempo e la frequenza necessari) su un segretario comunale che le supporti nelle pratiche giornaliere e nelle procedure richieste dalla legge. L'ennesima puntata di un problema che in Abruzzo (e sull'Appennino) si chiama "zone interne", e che può essere raccontato in modi diversi: per esempio quantificando l'esodo di coloro che hanno lasciato la montagna teramana dopo i due terremoti (come ha fatto in un convegno la Camera del lavoro provinciale), guardando le polemiche sugli ospedali (da Guardiagrele a Tagliacozzo, da Popoli a Pescina), seguendo le rotte degli investimenti pubblici per le infrastrutture o contando i servizi essenziali che chiudono (o che non ci sono mai stati) nelle zone di questa regione lontane dal mare, dalle città e dalle grandi arterie di trasporto. Un altro tema, non l'ultimo, è quello delle scuole che rischiano di chiudere, un colpo a territori che aspettano ancora di veder valorizzate le loro risorse e nei quali tante coppie giovani vorrebbero restare. E' un tema, quello della scuola nelle zone interne, sul quale la Camera del lavoro dell'Aquila è intervenuta nei giorni scorsi con un comunicato che riproponiamo come esempio di quel che accade in Abruzzo, una regione i cui indicatori socio-economici cominciano già a risentire, e da qualche anno, dello spreco di risorse e di opportunità che pure nelle aree interne ci sarebbero.
<Il termine per le iscrizioni alle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2019-20 non è ancora scaduto e già si è alzato il grido di allarme da parte di molte scuole delle aree interne della nostra provincia, che si trovano di nuovo ad affrontare l'esiguità numerica di iscritti e iscritte, con il rischio di non poter garantire adeguatamente il servizio scolastico.
La mancanza di popolazione scolastica, con conseguente rischio di chiusura per le scuole di molti piccoli centri del nostro territorio, è ormai endemica e ogni anno ci porta a fare i conti con una realtà socio-economica e culturale sempre più impoverita, e i numeri ci ricordano che viviamo un territorio abbandonato e in costante e continuo spopolamento. Quando i criteri e i numeri stabiliti per tutto il territorio nazionale si scontrano con la povertà demografica delle nostre aree interne, con fatica si riesce a garantire l'apertura di scuole sempre meno frequentate, spesso situate in posti di una bellezza paesaggistica unica e sorprendente.
La riduzione di numeri comporta la riduzione di organico, avere sempre meno alunni e alunne vuol dire avere sempre meno insegnanti, sempre meno personale ATA, sempre meno lavoro. Sempre meno cultura e tessuto sociale. La riduzione dei numeri comporta, quando dice bene, la formazione di pluriclassi, che soprattutto nella scuola secondaria di primo grado vuol dire ridurre il monte ore delle discipline, che calcolato per classe viene ripartito tra le differenti annualità che compongo quella pluriclasse, minando uno dei principi fondamentali della scuola italiana che è quello dell'unitarietà dell'insegnamento. Un principio secondo il quale ad ogni alunno e alunna su tutto il territorio italiano si offrono le stesse opportunità educative, formative e culturali. Quando dice male si procede alla chiusura.
Noi sappiamo bene cosa segue alla chiusura di una scuola di un paese di montagna, dove la scuola spesso rappresenta l'unico presidio culturale e sociale. La Flc Cgil ritiene che in alcuni territori i numeri vadano contestualizzati, che il diritto all'educazione e quindi al futuro lavorativo debba essere diffuso anche attraverso l'adeguamento delle norme ai territori ai quali si applicano. Ma il problema non è solo scolastico. Si perde la scuola perché prima si è perso il lavoro, si perde la scuola perché si sono persi i servizi, si perde la scuola perché i comuni non hanno i fondi necessari, si perde la scuola perché le nostre aree interne non sono state rese attrattive. Non invitano le famiglie a rimanere, non invitano le famiglie a tornare, non invitano le famiglie a trasferirvisi. La politica deve mettere in agenda azioni concrete che portino a ribaltare il paradigma e quindi a trasformare il problema delle aree interne in risorsa, attraverso l'elaborazione di nuovi modelli di sviluppo fondati sulle potenzialità del nostro territorio. Altrimenti presto saranno del tutto inutili i tentativi e le azioni per tenere aperte almeno le scuole dove non c'è più nulla. Tentativi che ogni anno portano a soluzioni tampone che non risolvono un problema creato da decenni di disattenzione e di fatalismo politico>.
Francesco Marrelli, segretario generale Cgil L'Aquila Miriam Del Biondo, Flc Cgil della provincia dell'Aquila