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Data: 09/06/2016

Mezzogiorno: un pezzo d’Italia che non può perdere la speranza

Mezzogiorno: un pezzo d’Italia che non può perdere la speranza
Le politiche per il Sud e l’azione del sindacato. I numeri dell’Abruzzo

Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil, ha parlato nei giorni scorsi di tante promesse ed annunci, nonostante i quali <per il Sud ancora non si è visto nulla. L'unica certezza sono i dati che mese dopo mese confermano una situazione di emergenza: dal crollo del Pil pro capite ai tassi di disoccupazione (in particolare dei giovani e delle donne), dall'aumento dei Neet alle cifre relative alla povertà>. La sindacalista commenta il rapporto Istat 2016 "Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo", e osserva: "Esattamente otto mesi fa il governo annunciava il Masterplan per il Mezzogiorno di cui però, ad oggi, non vediamo nessuna traccia. Il Sud ha bisogno di politiche di sviluppo e investimenti pubblici, di politiche che rafforzino i diritti di cittadinanza e le infrastrutture immateriali. Serve un progetto complessivo che abbia respiro pluriennale, con risorse dedicate e una governance interistituzionale".
Il Mezzogiorno è tra i temi che aprono l'agenda sindacale. Un problema che include anche l'Abruzzo, dove la ripresa è debole e il lavoro stenta a ripartire. D'altra parte è stata la Cgil regionale a sottolineare che «i dati dimostrano che in Abruzzo siamo ancora in presenza di una crisi forte e mettono in evidenza i problemi della nostra struttura produttiva». Per Sandro Del Fattore inoltre «il lieve incremento degli occupati (più 3.000 unità nel 2015, peraltro seguito da una consistente riduzione degli occupati nei primi tre mesi del 2016) dimostra che non siamo di fronte a una ripresa strutturale, è un dato che non compensa minimamente i 32mila posti di lavoro persi tra il 2008, anno di inizio della crisi, e lo scorso anno. Il tasso di disoccupazione è rimasto invariato, 12,6%, quasi doppio rispetto al 2008 (6,6%), mentre il tasso di disoccupazione giovanile è al 48,1%, superiore alla media italiana (40,3%)». Così, pure se le ore di cassa integrazione sono calate in modo significativo, il 72,9% del totale è costituito da cig straordinaria.
Anche in Abruzzo aumentano le forme di lavoro precario, al punto che in questa regione, nonostante la fragile ripresa economica, una volta venuti meno gli incentivi e i contributi dello Stato i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti drasticamente (dagli oltre 12mila nel trimestre gennaio-marzo 2015 ai 6752 dello stesso periodo di quest'anno) mentre è cresciuta moltissimo la precarietà dovuta all'uso dei voucher, tale che nello stesso periodo considerato, da gennaio a marzo, i voucher richiesti in Abruzzo sono aumentati dai 447.226 dello scorso anno ai 654.552 del 2016.
Per far fronte alla crisi il segretario generale abruzzese ha indicato alcune priorità: dare subito una risposta alle numerose crisi aziendali in atto, avviare la fase attuativa della programmazione 2014-2020 e aprire con il governo nazionale, insieme alle altre Regioni del Sud, una vertenza per avere un flusso di risorse ordinarie, prevalentemente quelle in conto capitale, che in questi anni sono state tagliate. Vanno inoltre avviate nuove politiche industriali incentrate sulla ricerca, l'innovazione, la sostenibilità ambientale, insieme a progetti per il risanamento del territorio e per un welfare inclusivo.
Tutti argomenti che a fine maggio la Cgil ha approfondito a Lecce nel corso delle "Giornate del lavoro". Temi importanti dei quali ha parlato anche Susanna Camusso in un'intervista al Corriere del Mezzogiorno (di cui riportiamo ampi stralci) nella quale il segretario generale ha messo a fuoco alcuni aspetti relativi al Mezzogiorno e più in generale all'azione del sindacato. Ecco il testo dell'intervista.


....L'8 aprile avete iniziato a raccogliere le firme per la proposta di legge sui diritti dei lavoratori e su tre quesiti referendari, tra cui quello per l'abolizione del lavoro occasionale rappresentato dai voucher. Con la carta universale dei diritti, praticamente riscrivendo lo Statuto dei lavoratori, volete forse correggere l'idea di un sindacato "conservatore"?
<Siamo molto poco impegnati ad inseguire critiche spesso gratuite e propagandistiche. La nostra intenzione è ridare organicità a una legislazione sul lavoro che rispetto a 40 anni fa non include più, fino in fondo, tutto il lavoro. Progressivamente gli interventi legislativi hanno cancellato le persone inventando formule che considerano il lavoro solo come costo e ne diminuiscono i diritti. Noi, al contrario, vogliamo ridare universalità ai diritti, per far sì che pur in nuovo contesto siano comunque esigibili da tutti i lavoratori, a prescindere dalla forma contrattuale che hanno. Per noi sono importanti le persone, che hanno diritti universali insopprimibili nel lavoro>.
Quindi il vostro giudizio negativo sul Jobs act del governo Renzi non è mutato?
<Se qualcosa di positivo avviene nel mercato del lavoro lo si deve, come confermano gli ultimi dati Inps, all'enorme massa di incentivi erogati. Lo dimostrano i dati: nel primo trimestre 2016 le assunzioni a tempo indeterminato sono state il 77% in meno rispetto allo stesso periodo del 2015, mentre il ricorso ai voucher è cresciuto del 45%. Mi pare che il famoso messaggio del governo "ora arriviamo noi, sparirà il precariato e tutto cambierà in meglio" si sia dimostrato una clamorosa bufala, peggiorativa anche delle condizioni degli outsider>.
In questo quadro il Mezzogiorno come è messo?
<Basta guardare ai tassi di disoccupazione giovanile, al calo delle iscrizioni all'università, al tasso di scolarizzazione. Al Sud si rischia di perdere la speranza, anche perché le politiche d'industrializzazione faticano ad imporsi e i fondi europei non vengono finalizzati a progetti di sviluppo e inclusione sociale>.
Tuttavia una settimana fa la Camera di commercio di Bari offriva dati incoraggianti sul saldo della natalità-mortalità delle imprese: si deve ancora parlare di Sud a macchia di leopardo?
<Come tutto il Paese. Anche tra Sondrio e Varese, per fare un esempio, le dinamiche economiche sono differenti. Tuttavia i singoli dati non possono nascondere i tratti comuni all'area meridionale di cui dicevamo, a cominciare da quelli sull'occupazione giovanile. Lì dove si registra maggiore vivacità, ciò dipende quasi sempre dalle politiche delle singole Regioni e dalla presenza di imprese che investono>.
Al Sud è basso anche il tasso del lavoro femminile: perché?
«Una delle ragioni è certamente l'insufficiente creazione di lavoro. Poi incidono anche il part-time obbligatorio spesso imposto alle lavoratrici, i molti pregiudizi che ancora accompagnano l'occupazione femminile e le politiche economiche sbagliate: invece di costruire asili e considerarli investimenti, si elargisce un bonus bebè. È anche una questione culturale, non si è ancora compreso che il lavoro femminile è di per sé generatore di sviluppo>.
Due questioni di grande impatto per l'economia meridionale: Ilva e Fiat. Per la prima si attende di capire chi l'acquisirà, la Ue ha messo sotto accusa l'Italia per inadempienza nella difesa ambientale. Quanto alla seconda, i dati di Melfi e Pomigliano d'Arco inducono a un certo ottimismo sul futuro dei due siti industriali. Che ne pensa?
<Ribadiamo ciò che abbiamo detto: bisogna risanare l'Ilva che deve continuare a produrre. Quanto al bando per la cessione dell'azienda, ripetiamo che è carente, non parla di difesa dell'occupazione e dell'integrità del gruppo. Penso che su un settore strategico come l'acciaio debba esserci la disponibilità all'intervento "pubblico", facendo anche una battaglia dentro una Ue poco attenta alle politiche di sviluppo>.
Quanto alla Fiat si può dire che la ricetta Marchionne funzioni?
<Grazie allo sbarco in Usa e ai finanziamenti lì ricevuti, la Fiat è stata in grado di dedicarsi alla produzione industriale e alla creazione di lavoro e speriamo che continui perché siamo ancora lontani dalla piena occupazione di tutti i suoi lavoratori. In ogni caso non è quello che ha determinato la rottura operata dal management nelle relazioni sindacali e l'uscita da Confindustria. Per non parlare dell'abbandono dell'Italia operato da Fca>.
La Cgil cosa suggerisce per far ripartire il Mezzogiorno?
<Da tempo abbiamo avanzato proposte alle Regioni e al governo con un documento firmato anche da Cisl, Uil e Confindustria. A nostro avviso servono politiche sociali adeguate perché asili, scuole, servizi sono generatori di lavoro. C'è poi il tema della qualità delle produzioni, in particolare nel settore dell'agroindustria, quello della trasformazione in industria del turismo e della valorizzazione territoriale e culturale. Pensiamo sia necessaria una visione di lungo periodo che sappia indirizzare gli investimenti e l'azione degli attori economici>.


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