Il Pil italiano è quello che ha maggiormente subito gli effetti della crisi e l'Italia è il paese che ha registrato il calo maggiore della produttività.
E' quanto scrive la Fondazione Di Vittorio commentando lo studio "Lavoro e capitale negli anni della crisi: l'Italia nel contesto europeo", realizzato dall'osservatorio sul mercato del lavoro della stessa Fondazione e presentato nei giorni scorsi. Un declino da attribuire non alle dinamiche retributive ma alla riduzione di investimenti, ricerca e innovazione.
La ricerca prende in esame alcuni dei principali indicatori economici italiani dal 2007 (l'anno che precede l'inizio della crisi) fino al 2015, confrontandoli con quelli dell'area Euro e dei paesi europei a noi comparabili come Germania, Francia e Spagna.
Quanto emerge ci racconta che il Pil italiano è quello che ha subito di più le conseguenze della crisi: ponendo l'indice del 2007 a 100, nel 2015 la Germania è salita a 107,1% e la Francia a 103,4%, al contrario la Spagna è scesa a 96,7% e Italia fino a 91,7%: un calo di oltre 8 punti. Lo studio inoltre segnala che sia la produttività totale dei fattori (-5,4% rispetto al 2007) sia la produttività reale oraria del lavoro (-0,1% rispetto al 2007) nel nostro Paese sono le più basse fra quelle esaminate. Da che dipende? Per la ricerca la causa principale è la dinamica delle retribuzioni, e questo perché in Italia la dinamica delle retribuzioni nominali e reali nel periodo 2007-2015 è stata la più debole fra quelle prese in esame.
Fatto è che la Fondazione Di Vittorio indica nella voce "investimenti" il vero problema italiano, come dimostrano i 17 punti di ritardo dall'area euro, i 37 punti di distacco dalla Germania e un andamento economico che nel corso del 2015 era ancora pressoché fermo.
Da parte sua Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil responsabile delle politiche economiche, commentando il lavoro della Fondazione Di Vittorio sottolinea che lo studio dimostra che <l'Italia rispetto alle altre economie avanzate ha registrato un rallentamento più intenso della produttività, un declino da attribuire non al lavoro ma al capitale, con la riduzione di investimenti, ricerca e innovazione, e alle determinanti di sistema che impediscono la combinazione migliore dei fattori produttivi (politiche industriali, infrastrutture, sistema fiscale, mercato del lavoro). Purtroppo - aggiunge - le soluzioni alla crisi continuano ad essere ricercate sempre con le stesse ricette liberiste che hanno provocato il declino economico di molti paesi: austerità e privatizzazioni, precarizzazione e svalutazione competitiva del lavoro, deflazione salariale, deregolazione e finanziarizzazione. Il governo italiano con la nota di aggiornamento al Def 2016 sceglie di perseguire anche per i prossimi trenta mesi una politica di stagnazione, attraverso ulteriori tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni e riduzione delle tasse alle imprese. Per trovare la via di una nuova crescita - conclude il segretario della Cgil - bisogna riscoprire l'obiettivo della piena e buona occupazione, investendo sul lavoro e sul futuro. Per questo la Cgil insiste nel proporre un Piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile, la Carta dei diritti universali del lavoro, un moderno sistema di relazioni industriali>.
P.S. In allegato lo studio "Lavoro e capitale negli anni della crisi: l'Italia nel contesto europeo" presentato dalla Fondazione Di Vittorio