"Le disuguaglianze nel lavoro, nelle varie forme in cui si manifestano, stanno assumendo un peso crescente e rappresentano un evidente fattore di disagio per le persone e di rischio per lo sviluppo futuro. Si tratta quindi di un grande tema economico e sociale che investe la vita di milioni di cittadini, generando paure, risentimenti, rabbia sociale e sfiducia nel domani".
Sono le parole con le quali la Fondazione Di Vittorio ha presentato recentemente il rapporto "Disuguaglianze e disagio nel lavoro", elaborato in base ai dati forniti dalla Rilevazione Continua delle Forze di Lavoro dell'Istat. Uno studio che ha preso in esame la cosiddetta area del disagio occupazionale, quella costituita da lavoratori temporanei non volontari e da part-time involontari, cioè da coloro che non scelgono queste forme di lavoro ma che devono accettarle pur di trovare una qualche occupazione. Un fenomeno preoccupante, al punto che nel primo trimestre di quest'anno si è raggiunto il record di quasi 5 milioni di persone coinvolte, per l'esattezza 4.883.000, pari al 21,7% degli occupati e al 25,1% dei lavoratori dipendenti.
Fatto è che nel primo semestre 2018 i lavoratori temporanei non volontari, dipendenti o collaboratori, sono risultati 3 milioni e 61 mila, il numero più alto mai registrato dall'Istat. E il loro peso sull'occupazione totale è passato dal 10,3% del primo semestre 2007 (prima della crisi economica) al 13,2% del primo semestre di quest'anno. Se si considera poi solo il lavoro dipendente (i collaboratori sono poco più del 6%), il peso degli occupati temporanei involontari sul totale dei dipendenti temporanei involontari è pari a 16,1%, con gli ultimi due anni che hanno registrato un vero e proprio boom (+553mila persone). Riguardo il part-time involontario, nel primo semestre 2018 erano interessate 2.772.0000 persone, circa i due terzi dei lavoratori a tempo parziale. Detto questo, la Fondazione Di Vittorio rileva anche che il cosiddetto "tasso di disagio", ovvero il rapporto tra gli occupati "disagiati" e il totale degli occupati fra i 15 e i 64 anni, nel primo semestre di quest'anno è salito al 21,7%, mentre se ci riferiamo ai lavoratori dipendenti si arriva al 25,1%: un occupato su 4.
E qui arrivano altre note dolenti: come si distribuiscono questi numeri fra le regioni? Dove si registrano le situazioni peggiori? Nulla di nuovo se osserviamo che il tasso di disagio - calcolato per regione, settore di attività e profilo anagrafico dei lavoratori - registra "significativi scostamenti" a seconda delle aree geografiche: il disagio è maggiore nelle regioni meridionali rispetto al nord, con la Calabria in testa al malessere e la Lombardia in coda. Una lista (si può guardare a pagina 5 del rapporto allegato) che nelle ultime posizioni vede Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna, precedute al solito dalle regioni del centro-nord. E' l'Abruzzo? Va male anche questa regione, che nella lista si colloca al quint'ultimo posto (24,1% il tasso del disagio abruzzese rispetto alla media nazionale del 21,7%, con agli estremi il 17,8 lombardo e il 27,8 calabrese). E il vicino Molise: dove si trova? Anche questa regione registra numeri migliori di quelli abruzzesi, anzi supera diverse regioni del nord (19,3% il tasso del disagio molisano) e anche se il dato non consola disoccupati e precari la colloca nelle prime posizioni della classica nazionale.
Circa i settori lavorativi, il disagio "è più frequente nel settore alberghiero e della ristorazione, nei servizi personali e in agricoltura (oltre il 37%), è maggiore per le donne (28,9% contro il 16,3% degli uomini), è più alto nella fascia di età 15-34 anni (39,9%) e per i cittadini stranieri (33,9% rispetto al 20,2% degli italiani)". Più contenute invece sono le differenze per titolo di studio, con un tasso di disagio che però diminuisce passando dalla licenza media al titolo universitario (mentre prima della crisi era maggiore fra i laureati).
Per concludere ci affidiamo ancora alle parole del rapporto. "I dati della ricerca dimostrano che le disuguaglianze crescono, che accelera il processo di precarizzazione e peggiora la qualità del lavoro - scrive la Fondazione Di Vittorio - Decisive, per invertire la rotta, saranno la sostenibilità dello sviluppo futuro e le scelte di governo e imprese. La debolezza della ripresa economica e il diffondersi delle disuguaglianze nel mondo del lavoro dipendono prevalentemente da scelte di crescita basate sulla competizione di costo e non sulla qualità di prodotto. Il pericolo che anche l'introduzione delle nuove tecnologie abbia questo segno è nel comportamento di troppe imprese di puntare ad innovazioni solo di tipo incrementale, basate sulla prospettiva di risparmio, piuttosto che sull'utilizzo di tecnologie capaci di aumentare la produttività e alzare il livello della competizione, salvaguardando quantità e qualità del lavoro. Dare risposte a questa ampia fascia di lavoratori non solo darebbe a persone che vivono un presente difficile la prospettiva di un futuro migliore, ma diverrebbe volano essenziale per far aumentare i consumi, qualificare la produzione e quindi accelerare lo sviluppo".
P.S. In allegato il testo del rapporto