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Data: 22/05/2015

Quando gli stranieri erano nel paese accanto: la crisi che morde e il dramma dell’immigrazione

Quando gli stranieri erano nel paese accanto: la crisi che morde e il dramma dell’immigrazione
L’intervento di Carmine Torricella, che ci ricorda l’Abruzzo di appena ieri

Uno sfogo, un moto di rabbia, una considerazione amara. Si definisca come si vuole ma l'intervento che viene dalla Cgil di Vasto racconta un pezzo d'Abruzzo (e non solo un pezzo) che carica di strumentalizzazioni politiche e ipocrisia il dramma dell'immigrazione. Lo fa denunciando chi mette <sullo stesso piano i 35 euro al giorno per ogni immigrato profugo e la crisi che vive la nostra gente>, ricordando come sia <dura andare in mezzo a chi ha perso il lavoro e il diritto a una cittadinanza piena, a chi è stato colpito da una crisi non per sua responsabilità, e spiegare che nulla hanno a che vedere i 35 euro e la sua condizione>. Quello che non si può né si vuole dimenticare tuttavia è altro ancora: che in provincia di Chieti i forestieri erano anche quelli paese accanto; che a San Salvo, Casoli o Atessa ci si guardava quasi come estranei. Un intervento che ci ricorda come l'Abruzzo è stato fino a ieri.

 

di Carmine Torricella, responsabile Cgil distretto di Vasto

 

Certo, la crisi morde, la disoccupazione ha raggiunto livelli inimmaginabili fino a qualche anno fa. La gente vive il dramma quotidiano del mandare avanti la famiglia, la mortificazione del non poter indicare ai propri figli un percorso e un futuro possibile. Sono fenomeni che oggi viviamo quotidianamente, che avevamo solo letto sui libri di storia in riferimento alle grandi crisi del passato. Pure allora quanti viaggi della speranza, quanti pianti sulle banchine dei nostri porti, mesi e mesi di viaggi per subire all'arrivo a destinazione soprusi e maltrattamenti celati sotto lo pseudonimo di visite mediche.
Certo è che quello che avviene oggi è un tantino diverso da allora. Dai nostri porti non si parte più ma si arriva, la gente che vi approda non lo fa per trovare un lavoro, o per meglio dire per rubare il lavoro a noi, ma il più delle volte sono persone che fuggono dalla guerra, da una guerra che non capiscono nemmeno perché si combatte. Noi dovremmo dare loro una risposta, visto l'armamentario con cui le guerre vengono combattute.
A chi fugge da violenze e angherie, a chi mette a repentaglio la propria vita su barconi vecchi e logori, a chi rischia il tutto per tutto per un futuro migliore, non si può negare un temporaneo riparo. Le società europee più evolute e democratiche hanno dovuto prendere atto di un fenomeno che si può arginare solo non mettendo limiti alle frontiere e non richiudendoci nel proprio io, facendo finta che il problema non ci interessa. Al contrario bisogna aprirsi al dialogo, cercare regole, mezzi e soprattutto sostegno finanziario verso chi, come l'Italia, è in prima linea e rappresenta la prima frontiera di un nuovo mondo.
Ma i nostri egoismi non sono una novità. Da sempre viviamo una certa gelosia verso chi viene da un posto lontano e poco conosciuto. Non abbiamo mai perso il vizio di chiamare e trattare da forestieri chi viene da fuori. Sbagliando abbiamo sempre trattato chi veniva da fuori come qualcuno che veniva a prenderci qualcosa, proprio come adesso quando, scorrettamente, mettiamo sullo stesso piano i 35 euro al giorno per ogni immigrato profugo e la crisi che vive la nostra gente. Sicuramente è dura andare in mezzo a chi ha perso il lavoro e il diritto a una cittadinanza piena, a chi è stato colpito da una crisi non per sua responsabilità e spiegare che nulla hanno a che vedere i 35 euro e la sua condizione, ma chi ha un ruolo nel sociale lo deve fare lo stesso.
Anche le famiglie di attuali e autorevoli sindaci di importanti città della nostra provincia provenivano da fuori ed hanno vissuto il dramma e l'appellativo di forestieri. In quei tempi non era difficile diventare stranieri pur proveniendo da posti poco lontani, visti con gli occhi di oggi. San Salvesi, Castiglionesi, Casolani, Atessani erano pressoché sconosciuti fra loro pur facendo parte della stessa regione, le distanze di allora non erano come quelle di oggi. Quando per qualche motivo qualcuno era costretto a recarsi a Chieti notava il peso e la distinzione fra chi abitava in provincia e il provinciale che veniva da fuori.
Ora è stucchevole la leggerezza con cui tutto ciò si dimentica. Sterili motivi di protagonismo e propaganda hanno fatto cadere la storia e il vissuto delle proprie famiglie nell'oblio, questi stessi autorevoli sindaci sono i primi a dimenticare il passato e si ergono strenui paladini difensori del territorio dall'invasione degli stranieri. Molte volte mistificando i problemi, strumentalmente cavalcano le necessità delle famiglie, quasi a voler ripercorrere gli errori del passato, quegli stessi che hanno portato a decidere la tutela della razza. Assordante è anche il silenzio delle parrocchie su quest'argomento. Luoghi di culto frequentatissimi dove in passato, per molto meno, con disinvoltura si è proceduto a scomunicare chi la pensava in maniera diversa, ma che oggi rimangono silenti e non dicono una parola sul tema. Anzi, al contrario, è importante uscire in processione con il Santo e il Sindaco con la fascia tricolore, indipendentemente da questi piccoli dettagli.


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