Data: 04/01/2019
Report Abruzzo-1: l’inverno inizia con una gelata sul lavoro
La regione raccontata dai centri di ricerca, i numeri di un’economia che rallenta
In Abruzzo l'inverno è iniziato con 26.000 posti di lavoro in meno. Un calo del 5,1% registrato nel terzo trimestre dell'anno appena finito (rispetto a quello precedente), oppure del 5,6% se guardiamo i dati che precedevano la grande crisi iniziata nel 2008. Una debacle, i 26.000 posti sfumati alla vigilia dell'inverno, certificata dall'Istat nell'ultimo report sul mercato del lavoro e che preoccupa non solo per il lavoro che manca (siamo tornati sotto la soglia del mezzo milione di occupati) ma anche per un altro motivo: perché segnala un'inversione di tendenza, il cambio di rotta di una regione, l'Abruzzo, che invece nel semestre precedente aveva visto migliorare i dati dell'occupazione. Che infatti è tornata a scendere, al punto che nell'ultimo trimestre del 2018 il tasso di disoccupazione è arrivato al 12,1% rispetto al 9,7% dell'anno prima, più del doppio (allora era del 5,7%) se ci riferiamo al periodo prima della crisi che ci accompagna ormai da un decennio. Fatto è che la frenata abruzzese degli ultimi mesi è stata più pesante di quella italiana, anche perché nel resto del Paese (con notevoli differenze tra zona e zona, tra nord e sud per esempio) in quel trimestre si è registrato comunque un timido aumento degli occupati (+0,6%). Dipende da tante cause, sia locali che di carattere generale. E infatti se molti posti di lavoro si sono persi nel settore manifatturiero, dove nel periodo considerato il tasso di occupazione è sceso del 17,6% (da 129mila a 106mila unità lavorative), ciò rappresenta l'ennesima conseguenza di un sistema industriale e produttivo con una doppia faccia: da un lato le grandi aziende, spesso non abruzzesi e neppure italiane, che esportano beni e merci ad alto valore e sviluppano e utilizzano tecnologie anche innovative; dall'altro il grande mare delle piccole e micro imprese, quelle che guardano soltanto al mercato locale e non contemplano l'esportazione. E che subiscono - manco a dirlo - le sofferenze di un mercato domestico che stenta a ripartire, che spesso trovano chiusi i rubinetti del credito, che soffrono i meccanismi della burocrazia e trovano difficile pensare a processi di riorganizzazione e a investimenti a medio e lungo termine. Una battaglia quotidiana che il sindacato ben conosce, come conosce le macro vertenze nate da vicende più grandi, italiane e internazionali. Per tutte - ma ne potremmo citare molte altre - le delocalizzazioni decise da Honeywell o Ball, le vicende Selta o Intecs (che in Abruzzo rinunciano a un patrimonio di conoscenze e professionalità), oppure quella della LFoundry, alle prese con un ricambio tecnologico ma anche con la guerra dei dazi tra Usa e Cina. Vicende che causano la perdita di posti di lavoro, come se ne perdono in altri comparti - per tutti la grande partita dell'edilizia, dove i disoccupati si contano a migliaia - e che in attesa di investimenti a lungo termine chiedono nel frattempo di spendere rapidamente almeno il denaro stanziato, di velocizzare i programmi che aspettano di essere realizzati (il Masterplan per cominciare, oppure le iniziative che possono nascere dalla Carta di Pescara o dagli accordi sul lavoro), di realizzare le Zone economiche speciali o di far partire i cantieri fermati dalla burocrazia e dalla lentezza degli appalti pubblici (si pensi soltanto alle somme stanziate per le varie ricostruzioni post-terremoti), di mettere mano al riassetto e alla messa in sicurezza del territorio o alle opere infrastrutturali, alle ferrovie o alle autostrade (192 milioni di lavori solo per avviare i nuovi cantieri su A24-A25). Così, in attesa di investimenti produttivi e sui territori in grado di creare lavoro e di mantenere in Abruzzo il capitale umano dei giovani, la loro intelligenza e voglia di fare, e aspettando di capire realmente quali effetti producono nel mercato del lavoro alcuni provvedimenti del governo (per esempio il "Decreto Dignità", tirato in ballo per il mancato rinnovo di molti contratti precari, anche in questa regione), l'Abruzzo sembra aver perso quel poco di slancio che aveva registrato fino a qualche mese fa, prima dell'arrivo dell'inverno. Quando una seconda ricerca, questa volta proposta da Sisprint, il Sistema integrato di supporto alla progettazione degli interventi territoriali avviato su iniziativa dell'Agenzia per la coesione territoriale e di Unioncamere nazionale, aveva confermato nella sostanza la situazione decritta dall'Istat. Dunque un Pil sostanzialmente piatto, nonostante la diffusione delle imprese (in Abruzzo ne erano registrate 148.298, ben 111,8 ogni cento abitanti rispetto a una media nazionale ferma a 100, e tuttavia tra il 2012 e il 2017 il loro numero era sceso già del 7,8%, una flessione continuata anche nel 2018); un sistema produttivo "aperto solo in parte agli scambi internazionali" e con un dualismo molto marcato tra grandi imprese competitive sui mercati esteri e una moltitudine di piccole aziende polverizzate sul territorio, poco influenti sull'economia regionale"; un comparto dell'accoglienza e del turismo del quale l'analisi di Sisprint evidenzia "un'apertura turistica, scientifica e culturale sostanzialmente incompiuta" (nonostante i segnali positivi venuti l'anno scorso dalle aree interne e montane e la tenuta della costa teramana, mentre è andata peggio al sud della regione), dove "il turismo, in assenza di grandi attrattori, risulta caratterizzato da flussi nazionali, per lo più in seconde case". E dove, ma certo non per ultimo, resta tutto intero il problema delle aree interne, il rischio-abbandono sempre presente e che dopo i terremoti degli ultimi anni si è fatto ancora più concreto anche per l'assenza di politiche volte allo sviluppo o mirate per esempio ai servizi, la scuola o la sanità territoriale. E tutto ciò in una regione che invecchia, dove gli ultra 65enni sono 94.086 nella provincia di Chieti, 73.378 nel Pescarese, 70.381 nella provincia dell'Aquila e 69.878 in quella di Teramo.
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