Senza saperi e competenze non si va lontano. Senza un'istruzione di base e una formazione professionale adeguati sarà difficile ricostruire le fondamenta sulle quali riedificare un futuro di lavoro e crescita.
Così, se questo è vero (e lo è) è stata ancora una volta la Cgil, a partire dal Piano del Lavoro, a sottolineare che una strategia che accresce i livelli di istruzione e competenze è il fattore determinante per lo sviluppo economico, sociale e civile di questo Paese. E tuttavia se l'obiettivo è garantire a tutti una solida formazione di base, culturale e professionale (sulla quale costruire un percorso di apprendimento che può durare anche tutta la vita), questo obiettivo va perseguito con alcune scelte precise: innalzando l'obbligo scolastico a 18 anni, predisponendo un piano straordinario di lotta alla dispersione scolastica, potenziando le politiche per il diritto allo studio, individuando processi nuovi di insegnamento-apprendimento, allargando e diffondendo la didattica delle competenze, potenziando gli interventi educativi rivolti alle varie età della vita: dall'educazione dell'infanzia alla formazione anche della popolazione adulta.
Obiettivi che per essere realizzati devono camminare sulle gambe della concretezza, trovare applicazione in fatti e scelte coerenti. Al punto che la Cgil ha formulato sei proposte precise, che ha girato alla politica e a chi si occupa di queste vicende. In particolare le proposte riguardano:
1 - l'orientamento, ovvero la costruzione di un sistema nazionale dell'orientamento permanente e l'introduzione di possibilità formative (orientative ed elettive) nell'intero percorso scolastico.
2 - l'apprendimento per il lavoro, cioè il superamento dei percorsi gerarchizzati e della canalizzazione precoce al lavoro attraverso un biennio unitario di orientamento al termine del primo ciclo di istruzione. Inoltre va costruita un'area unitaria tecnico-professionale che superi le attuali sovrapposizioni e duplicazioni, vanno rivisti i regolamenti Gelmini e la diffusione della didattica laboratoriale, va riformata e rilanciata la formazione professionale integrativa e nei percorsi post-scolastici, vanno sviluppati infine i poli tecnico-professionali coordinando l'offerta formativa per il lavoro e sostenendo le esperienze di alternanza scuola-lavoro, rafforzando i servizi di supporto e accompagnamento.
3 - l'alternanza scuola-lavoro va generalizzata, come i laboratori e l'innovazione, promuovendo esperienze di alternanza in tutte le filiere della scuola secondaria, a cominciare dal terzo anno. Inoltre vanno potenziati la didattica laboratoriale, i percorsi formativi in alternanza (co-progettati in relazione alla capacità formativa delle imprese, osservando standard idonei, precisi e vincolanti), vanno salvaguardati i diritti e le garanzie degli studenti inseriti in esperienze di apprendimento in contesti lavorativi. Inoltre la formazione dei tutor aziendali dev'essere certificata e vincolante e va dato supporto ai poli tecnici e professionali per le piccole imprese.
4 - le competenze vanno riconosciute, e ciò attraverso la certificazione e la spendibilità di tutte le conoscenze apprese nei contesti di vita e lavoro. Va realizzato inoltre un sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze, previsto dalla legge 92 del 2012.
5 - circa il sistema degli istituti tecnici superiori, gli ITS vanno potenziati attraverso una più stretta connessione alle politiche di sviluppo economico, valorizzandoli come laboratori permanenti di tecnici di lungo periodo. Inoltre bisogna raccordarsi maggiormente con la ricerca, costruendo reti multiregionali e misure di accompagnamento alla mobilità territoriale degli studenti.
6 - per cambiare realmente le cose serve la partecipazione delle parti sociali, dunque vanno trovate sedi stabili nazionali e territoriali per definire e aggiornare le qualificazioni professionali, assicurare la congruenza nel mondo del lavoro, definire gli indirizzi, la programmazione e la valutazione delle attività formative in alternanza scuola-lavoro.
Sin qui le proposte della Cgil, secondo cui il sistema formativo non va delegato alle aziende. D'altra parte <l'istruzione è la pre-condizione del lavoro, due ambiti che non sono sullo stesso piano e neanche paragonabili>, com'è stato ricordato nei giorni scorsi nel convegno nazionale "Scuola Lavoro: le chiavi del futuro". Se una preminenza c'è, va al sistema della cultura e dell'istruzione, evitando che le decisioni e l'esecutività - la concretezza - finiscano nelle mani delle imprese ed allungando qualità e durata dei periodi di apprendimento.
Per intervenire seriamente sul sistema formativo italiano, hanno affermato i vertici del sindacato, serve però un'idea di Paese. Perché <se non c'è cultura non c'è neanche innovazione, perché non è possibile investire se non si ha un orizzonte, se non si sa cosa fare del Paese>. Un'idea che la Cgil non vede, mentre al contrario la decisione sembra essere quella di <delegare tutto al sistema delle imprese, di far decidere loro quale sarà lo sviluppo del Paese, e quindi di delegare alle aziende anche la scuola. In questo modo propugnando un'idea funzionalista dell'istruzione, che si accompagna alla svalutazione del lavoro, all'idea che il lavoro è solo merce comprabile e vendibile>.
P.S. In allegato la nota della Cgil nazionale