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Data: 17/12/2023
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Bankitalia: “La stretta sul reddito colpirà 900 mila famiglie” Gli effetti della riforma in uno studio degli economisti di via Nazionale, platea dimezzata e per gli altri 1300 euro l’anno in meno

L’Inps scongiura il rischio di esodati sul nuovo assegno d’inclusione: pagamenti a tutte le domande accolte entro gennaio. Raitano “L’Italia torna ultima in Europa unico Paese senza un sostegno minimo”


Roma — Il nuovo Assegno di inclusione (Adi), in vigore dal primo gennaio, ridurrà la platea di beneficiari da 2,1 a 1,2 milioni. Ovvero 900 mila famiglie in meno prenderanno il sostituto del Reddito di cittadinanza. Garantendo così al governo Meloni 1,7 miliardi di risparmio all’anno. L’assegno poi per le famiglie che ancora resteranno nella misura sarà tagliato di 1.300 euro in media all’anno. Lo dice uno studio degli economisti Giulia Bovini, Emanuele Dicarlo e Antonella Tomasi pubblicato il 14 dicembre tra gli “Occasional papers” della Banca d’Italia. All’assegno ridotto dell’11% si arriva, spiegano gli autori della ricerca, per via di requisiti più stringenti dell’Adi rispetto al Reddito. Ma se l’obiettivo di Palazzo Chigi, oltre a fare cassa, è spingere le persone al lavoro può non funzionare. Lo spiega sempre lo studio. I beneficiari dell’attuale Reddito hanno «bassi livelli di scolarità, l’80% al massimo ha la licenza media » e «scarse esperienze lavorative pregresse: circa la metà dei disoccupati lo è da oltre 5 anni». Motivo per cui, secondo i ricercatori, «il percorso di reinserimento lavorativo non sarà privo di difficoltà e dipende della domanda di lavoro». Ovvero dalle imprese che solo in 1.500 casi, tra 2019 e 2022, hanno scelto beneficiari del Reddito, nonostante gli incentivi. Mentre in 150 mila hanno trovato lavoretti in autonomia. I requisiti più rigidi, reddituali e di moltiplicatori, introdotti dalla riforma Meloni colpiscono non solo gli “occupabili” tra 18 e 59 anni – destinati ai 350 euro dell’Sfl come indennità di formazione – ma anche le famiglie con minori, disabili, over 60. E persone in “condizioni di svantaggio”, la nuova categoria: disturbi mentali, dipendenti da alcol, droga e sostanze, vittime di tratta e violenza di genere, ex detenuti, senza dimora, giovani tra 18 e 21 anni che vivono in comunità o in affido. “Svantaggiati” che devono dimostrare di essere in programmi di cura e assistenza presso i servizi socio–sanitari prima di chiedere l’Adi. Le domande per il nuovo Assegno di inclusione partono domani sul sito Inps. Si possono fare in autonomia o con l’ausilio dei patronati.

17 dicembre 2023 repubblica

Raitano “L’Italia torna ultima in Europa unico Paese senza un sostegno minimo”

Sempre domani la ministra del Lavoro Marina Calderone riceverà Cgil, Cisl e Uil che le avevano chiesto un incontro urgente, paventando il rischio che la maggior parte delle famiglie oggi destinatarie del Reddito di cittadinanza rimanesse senza l’assegno nel mese di gennaio, perché obbligata a fare tutte le pratiche entro il 31 dicembre, con le festività in mezzo e la ridotta disponibilità di ausili sia da Inps che dai patronati. Il rischio, come raccontato da Repubblica, era di avere 737 mila famiglie pari a 1,6 milioni di persone scoperte per un mese. Il ministero del Lavoro e l’Inps sono corsi ai ripari, dopo il ritardo accumulato in questi mesi, visto che il decreto istitutivo dell’Adi è quello del Primo Maggio. Il decreto attuativo del ministero è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo ieri. Come solo ieri è stata firmata la circolare operativa dell’Inps. Che contiene una deroga importante, di fatto una retromarcia rispetto a quanto era stato detto a patronati e sindacati solo pochi giorni fa. E cioè che chi non faceva domanda entro il 31 dicembre saltava la mensilità di gennaio, perché così dispone il decreto del Primo Maggio. Ebbene la deroga dice invece che “in sede di prima applicazione” vanno bene anche le domande fatte a gennaio per avere la mensilità di gennaio che sarà però caricata in seguito sulla “Carta di Inclusione”. Altra novità, per accelerare i tempi dopo le critiche: si potranno fare tre passaggi in uno. La domanda di Adi, l’iscrizione alla piattaforma Siisl e la sottoscrizione del Pad (Patto di attività digitale), senza aspettare prima l’esito della domanda da parte di Inps. Da gennaio poi saranno operativi anche i Caf per dare una mano alle famiglie alle prese con un percorso burocratico tutt’altro che semplice.

Roma — «L’Italia abbandona la lotta alla povertà e al lavoro povero. Torna indietro, al giugno del 2018. A quando era l’unico Paese in Europa a non avere una misura di reddito minimo». La riforma Meloni del Reddito di cittadinanza, secondo l’economista Michele Raitano, già membro della commissione sul lavoro povero, «serve per ridurre la platea e fare cassa». Professore, chi sono gli esclusi? «La metà dei beneficiari di oggi, lo dice lo studio di Bankitalia e altri studi. Per il 60% sono esclusi in base ai criteri “categoriali” decisi dal governo, per cui tutti coloro che hanno tra 18 e 59 anni sono occupabili. Per il 40% sono tagliate fuori anche famiglie con minori, disabili, over 60». Eppure sono i più fragili, anche per il governo Meloni. «L’Adi, l’Assegno di inclusione che sostituirà il Reddito, è disegnato in modo da avere un requisito reddituale più basso per chi vive in affitto: da 9.360 euro si scende a 6.000 euro. E poi la scala di equivalenza, quel moltiplicatore che serve a definire come cambiano i bisogni all’aumentare dei componenti della famiglia, è ancora più complessa e penalizzante. Il secondo adulto vale zero, se non ha “carichi di cura”, cioè figli sotto i 3 anni». Qual è l’impatto di questa stretta? «Una scala di equivalenza così peggiorata riduce la possibilità di raggiungere i requisiti reddituali per accedere all’Adi, perché ho un divisore più basso. Se invece si entra in Adi, la scala taglia l’importo dell’assegno». Per il governo i nuovi requisiti servono a distinguere chi può lavorare da chi deve essere assistito. «Non è così. Alcuni studi preliminari in corso dimostrano che le storie lavorative di chi è escluso dall’Adi e di chi vi è incluso sono simili. Tra gli esclusi poi ci sono molti che lavorano, ma che hanno lavori poveri. La riforma lascia fuori i working poor. E tante famiglie in povertà assoluta: non sono finti poveri». Si possono fare esempi? «Una famiglia con un figlio è fuori appena questo diventa maggiorenne. Oppure compie 3 anni e la madre esce dalla scala di equivalenza. Sono fuori le famiglie povere in affitto e di queste moltissime tra gli stranieri». Ci sono punti positivi? «La residenza chiesta agli stranieri che scende da 10 a 5 anni, come vuole l’Ue: ma non basta a bilanciare chi esce perché non ha più i requisiti di reddito. C’è poi un coefficiente migliore per i disabili. E una franchigia di 3 mila euro annui di lavoretti compatibili con l’Adi». Come cambia l’approccio dell’Italia alla povertà? «Si abbandona la lotta alla povertà e al lavoro povero. Partendo dall’idea che la povertà sia una scelta dettata dal rifiuto di lavorare solo perché hai tra 18 e 59 anni e appartieni alle “categorie” dei senza figli minori, disabili, over 60. Il lavoro povero è un fenomeno endemico in Italia». Il governo vuole potenziare le politiche attive. Funzionerà? «Non se si spingono le persone ad accettare un’unica offerta. O peggio le si esclude dai sostegni, abbandonandole a lavori non dignitosi».


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