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Data: 30/04/2024
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CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

Cgil, Cisl e Uil, un sindacato a strappi: primo maggio insieme, ma si litiga su tutto

Questo Primo Maggio nasce indubbiamente sotto il segno del paradosso. E il motivo è facile da spiegare: Cgil-Uil e Cisl non sono stati mai così divisi tra loro, ma il giorno della Festa del Lavoro saranno insieme a tenere la manifestazione di Monfalcone e a parlare dal palco saranno i tre leader.
La scelta della città isontina è più che condivisibile perché serve a mettere sotto i riflettori dell’opinione pubblica nazionale i conflitti e le lacerazioni che investono la company town della Fincantieri. Con circa il 30% di stranieri sul totale della popolazione (31 mila) Monfalcone è oggettivamente un laboratorio delle politiche per l’integrazione multietnica in Italia. Il tema-chiave è quello degli spazi per la libertà di culto e attorno a questa delicatissima questione si è andato sviluppando un ampio contenzioso tra la comunità bangla di Monfalcone e la sindaca leghista Anna Maria Cisint. È bene quindi che i sindacati rientrino in campo anche sulla spinosa materia dell’immigrazione e per questo è da condividere la scelta della manifestazione nazionale del Primo Maggio.

Il referendum

Certo non saranno un comizio unitario e qualche slogan buonista a cambiare lo stato delle relazioni tra le confederazioni. La Cgil di Maurizio Landini ha lanciato infatti una campagna referendaria (divisa in quattro quesiti) per «smontare alcune delle leggi che hanno portato a un mondo del lavoro selvaggio». Vuole raccogliere le 500 mila firme necessarie per andare al voto popolare nella primavera del 2025. Gli obiettivi principali sono la cancellazione del jobs act, degli abusi nel ricorso ai contratti a termine e della deresponsabilizzazione delle aziende negli appalti. La scelta di Landini ha messo a rumore il mondo sindacale, ma in fondo non stupisce più di tanto perché prosegue nella linea di un sindacato movimentista, molto presente sull’agone politico e che sceglie il referendum perché pessimista sui tradizionali strumenti dell’azione rivendicativa. Più volte si è parlato per spiegare il posizionamento della Cgil dei destini personali del suo leader Landini, al di là delle speculazioni di sicuro c’è che la maggiore confederazione si oppone non solo al governo di centro-destra, ma in qualche maniera esprime una visione negativa dell’intero rapporto tra politica e società ( e quindi implicitamente esprime un giudizio non lusinghiero anche sul centro-sinistra). Non è un caso che Landini ricordi sempre l’alta percentuale delle astensioni alle urne per sottolineare le distanze. Il referendum si prospetta anche come ricucitura di questa frattura, mette il lavoro al centro dello scontro elettorale e chiama al voto gli italiani cercando di svincolarli dai propri orientamenti politici. Del resto Landini sa bene che la maggioranza degli operai oggi in Italia vota per il centro-destra e ne tiene conto a modo suo.

Un’altra prospettiva

Vista da casa Cisl però l’iniziativa referendaria di Landini appare «anacronistica». Il segretario Luigi Sbarra lo ripete a manetta. Il jobs act ha avuto anche i suoi difetti, ma non è stato l’ingresso in quel mondo del lavoro selvaggio di cui parla la Cgil. E comunque retrodatare l’iniziativa sul lavoro al tempo di Matteo Renzi premier appare a Sbarra un clamoroso errore. Il mercato del lavoro italiano ha dinamiche più complesse anche per quanto riguarda il tema dei contratti a termine e della precarizzazione. In questo ultimo anno sono aumentati i posti fissi di oltre 500 mila unità e le aziende tendono a fidelizzare la forza lavoro che hanno, anche perché è sempre più difficile trovare quelle competenze che la trasformazione delle mansioni richiede.

Un governo che divide

Insomma la fotografia che fanno in casa Cisl stride se messa a confronto con quella Cgil e da qui l’accusa di operare con i referendum una scelta di politicizzazione e di dimenticare di analizzare la realtà per come essa è. «L’articolo 18 di oggi è la formazione delle nuove competenze», sostiene Sbarra. Nella mappa delle divisioni non poteva mancare il rapporto con il governo. Sia chiaro, non è così evidente che cosa pensi veramente Giorgia Meloni della relazione con il sindacato, se consideri i lavoratori come degli elettori che vanno quindi raggiunti prevalentemente con gli strumenti dell’azione politica o se guardi con qualche favore all’intermediazione sociale. Lo stesso vale per l’azione dei ministeri, alcuni come il Mimit hanno moltiplicato i tavoli di negoziato e ad esempio sul futuro dell’automotive hanno largamente coinvolto il sindacato, altri hanno posizioni più sfumate.

Il giudizio sui risultati

La Cisl dal canto suo sostiene che si tratti di Draghi o di Meloni poco cambia, un governo si giudica dai risultati. La Cgil invece alimenta una politica di mobilitazione continua contro le scelte del governo e questo la porta a occupare spazi e ambiti che non sempre rientrano nella tradizionale contrattazione. Un osservatore pignolo sottolineerà come non mancano materie nelle quali i due maggiori sindacati la pensano allo stesso modo (previdenza, riforma fiscale e attuazione Pnrr) ma «la vera differenza tra noi — dice Sbarra — è il giudizio sui risultati dell’azione del sindacato: non si può sognare. Vanno fatti i conti con la realtà». La Cisl rimane fedele alla teoria dello scambio politico, non crede al conflitto a priori e soprattutto alla proclamazione salvifica di scioperi generali. Persino nella protesta per lo stillicidio di morti bianche delle scorse settimane Cgil-Uil e Cisl si sono divise perché anche in questo caso la confederazione di Sbarra ha visto nello sciopero un’arma spuntata.

Unità in azienda

Il secondo paradosso che vale la pena ricordare è però che la divisione sindacale riguarda quasi esclusivamente le confederazioni, i quartier generali romani, nelle categorie invece prevale la pratica unitaria di tutti i giorni. La spiegazione più lineare è che le confederazioni sono attratte dal gioco politico e più indirizzate a posizionarsi mentre laddove fabbriche e mercato sono più vicini — vedi le categorie — vince il pragmatismo, la logica delle soluzioni possibili. Anche tra i metalmeccanici, che pure hanno alle loro spalle svariati contratti nazionali firmati separatamente, oggi le sigle operano con sufficiente unità. La piattaforma per il rinnovo del contratto di categoria è stata costruita assieme così come la consultazione dei lavoratori. Sempre per rifarsi al mondo dell’auto, tutta la gestione del contenzioso con Stellantis sta andando di pari passo. E anche nelle altre categorie non si segnalano clamorosi episodi di rottura o un clima impossibile.

Il rischio irrilevanza

Ma sommando tutti gli episodi, inquadrando nella loro giusta dimensione quelli che abbiamo chiamato paradossi, qual è il futuro prossimo del sindacalismo italiano? Il rischio, viene da rispondere, è comune a tutti gli altri corpi intermedi ed è quello dell’irrilevanza. Di non riuscire a incidere più di tanto nelle scelte di indirizzo e di politica economica. Di andare sui giornali più per esporre ciò che li divide piuttosto che ciò che può rinsaldare il rapporto con i lavoratori. E portare a casa i benedetti «risultati».


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