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Data: 24/01/2024
Testata Giornalistica:
CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

Il primo sì all’Autonomia Lega in festa, lite con Pd e M5S L’ok del Senato. Salvini e la dedica a Maroni. Schlein: orrendo baratto. Premierato, FdI accelera con 7 emendamenti. Sfida con le bandiere, i cori e l’inno di Mameli

Maurizio Landini boccia l'autonomia differenziata: "Penalizza il Mezzogiorno, è un messaggio di divisione al Paese". (guarda l'intervento a "di Martedì")


Roma Primo via libera, al Senato, all’Autonomia differenziata delle Regioni. Con 110 sì, 64 no e 3 astensioni dei senatori di Azione (salvo Mariastella Gelmini che ha sostenuto la maggioranza), la riforma Calderoli è passata in un’Aula, presieduta dal leghista Gian Marco Centinaio, assente il presidente Ignazio La Russa, scossa dalle proteste: il Pd e i 5 Stelle hanno intonato l’Inno di Mameli, ribattezzando polemicamente FdI «Fratelli di Mezz’Italia». Quando tra i banchi della Lega in festa la senatrice Mara Bizzotto ha tirato fuori la bandiera autonomista della Liga Veneta è stato il caos e la seduta è stata sospesa. Il ddl ora passa alla Camera per il via libera definitivo che la Lega spera di incassare prima delle Europee. Forte del «patto di maggioranza» rimarcato in Aula dal capogruppo leghista Massimiliano Romeo: «Ne siamo fieri. Più poteri al premier significa controbilanciare con più autonomia sul territorio». Per questo il vicepremier Matteo Salvini definisce, quello di ieri, «il primo passo importante verso un Paese più moderno ed efficiente». E, di contro, la segretaria del Pd Elly Schlein, lo chiama «orrendo baratto che fa rivivere il sogno secessionista della Lega: siamo pronti a fermarlo con ogni mezzo». Una riforma dedicata da Salvini a Roberto Maroni, lo scomparso ministro dell’Interno leghista che nel 2017, assieme a Luca Zaia, promosse i referendum federalisti. Ripresentato da Calderoli a inizio legislatura, dopo i falliti progetti Gentiloni, Conte e Draghi, il ddl concede alle Regioni, d’intesa col governo, di legiferare autonomamente su temi come sanità, scuola, trasporti. Lo Stato dovrà stabilire i livelli essenziali di prestazione (Lep) da garantire a tutti. «È una risposta che dovevo a quelle 14 Regioni su 15 a statuto ordinario che ce l’avevano chiesto», evidenzia Calderoli. «Nessuna Regione sarà privata di qualcosa e godrà, invece, di maggiori opportunità di crescita», aggiunge il governatore Zaia. Ma sarà proprio così? Secondo Pd e M5S e Avs, che si preparano a un referendum, no. Per il capogruppo dem Francesco Boccia: «C’è un trucco. Per un’Autonomia seria serve stabilire i Lep e garantire risorse. Ma non è stato messo un euro nel fondo di perequazione. Chi ha i soldi, come il Veneto, potrà fare intese su asili e altro. Chi non ce l’ha si arrangia». Visto che il governo avrà due anni per fissare i Lep, si fa notare, c’è chi dovrà restare ancorato alla spesa storica e chi no. FdI, che ha emendato il testo stabilendo che qualsiasi intesa varrà per tutti, nega. E si prepara all’incasso del premierato. «Sono pronti 7 emendamenti. Soprattutto sul punto del cambio in corsa del premier votato dai cittadini», spiega il presidente della commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni, che li ha stilati assieme a Marcello Pera. Si torna al simul stabunt simul cadent, con la fine della legislatura se cade il premier eletto? «Una via di mezzo» dice Balboni. Ieri si è riunita la commissione Affari costituzionali. Oggi se ne discuterà con gli alleati. E, contro eventuali malumori, il termine per gli emendamenti slitta a fine febbraio.

Sfida con le bandiere, i cori e l’inno di Mameli. Ma nel centrodestra la lotta è sotterranea

Roma Cominciano Pd e Cinque Stelle,finisce con tutti che cantano «Fratelli d’Italia» gli uni contro gli altri armati,così, tanto per dare un dolore a Goffredo Mameli. Qualcuno della Lega si distrae e si unisce al coro anche nella seconda strofa, quella del «Dov’è la vittoria/le porga la chioma/che schiava di Roma/Iddio la creò». Subito ci mettono una pezza e sventolano la bandiera della Serenissima, in risposta ai banchi del Pd che avevano esposto cartelli tricolore ottenendo un «meglio della bandiera rossa» in risposta. Poi è lo sbraco definitivo. Cori da stadio del centrodestra: «Non vincete mai! Non vincete mai!». Risposte dall’ala sinistra: «Scemo! Scemooo!». «Seduta sospesa! Seduta sospesa! Chiudete il collegamento tv!», urla il presidente di turno, Gian Marco Centinaio, preoccupato anche per i ragazzi delle scuole accorsi alla lezione di democrazia.

23 gennaio, si fa sera, legge sull’Autonomia differenziata, aula del Senato. Tempo di mietitori. C’è da mettere fieno in cascina, per le elezioni regionali e per le europee. Un punto per la Lega, passata nella sua storia dalla secessione alla riforma. Ma anche per Fratelli d’Italia, che concede le briciolone, mica le briciole, per portare a casa il piatto ricco del premierato. E che comunque pensa che il Carroccio qualche regione del Nord dovrà pur mollarla. Pacchetto completo, c’è pure la riforma della Giustizia, cara a Forza Italia. Fieno elettorale anche per le opposizioni, che sull’Autonomia minacciano il referendum e si apprestano a tentare di affossare nelle urne pure la nuova forma di Stato. Fin qui,visioni opposte e gioco delle parti, che ci sta. Ma, mentre Roberto Calderoli fa il maestro di cerimonia, tra Lega, FdI e Forza Italia si combatte, sotterranea, la vera battaglia. Perché Giorgia Meloni non si fida, Matteo Salvini non si fida e Antonio Tajani, pure lui, non si fida. Salvini vuole la legge approvata anche alla Camera prima delle europee, FdI dice nì, che non è un no, ma somiglia al «mo vediamo» caro a Eduardo De Filippo.

«Grazie al governo e grazie al patto di maggioranza! — urla il capogruppo leghista Massimiliano Romeo — Ne andiamo fieri: più poteri al premier e più autonomia sul territorio!». «Mercanti! Baratto! Vi fermeremo col referendum, difenderemo noi il Sud», gridano i Cinque Stelle. «Ma quale baratto — replicano da FdI — C’è un percorso votato dagli italiani: autonomia, premierato, giustizia». Ad Andrea Giorgis, Pd, non hanno spiegato che ormai è campagna elettorale e si lancia in una ricostruzione puntigliosa e un po’ certosina del perché questa riforma divide il Paese tra ricchi e poveri, aiutato nel finale dai suoi che alzano il tricolore accusando la maggioranza di essere «Fratelli di mezza Italia». «Meloni svende l’unità nazionale alla Lega», accusa il capogruppo dem Francesco Boccia. Per gli azzurri, come in un campo di rieducazione cambogiano, tocca al cosentino Mario Occhiuto, fratello del governatore della Calabria, pronunciare il sì, e si fa aiutare da Leonardo e Michelangelo. Azione si astiene, ma non Mariastella Gelmini che, in accordo con Carlo Calenda, vota sì in dissenso «per coerenza con l’attività svolta come ministro di Draghi» e per salvare i fondi del Pnrr.

Le urla. In Aula da destra il grido «Non vincete mai» E la sinistra replica: «Scemo, scemo»

Alzi la mano poi chi ci ha capito qualcosa sui Lep, che sarebbero i livelli essenziali delle prestazioni, da garantire a tutte le Regioni. «Prima i Lep. Ma non ci sono i soldi. No, ma si risolverà. Bisogna attendere. No, partiamo lo stesso».

Maggioranza blindata in Aula, un po’ meno a luci spente. «Paradosso incredibile, nel 2001 la sinistra pre Pd spingeva per l’autonomia e An era furiosamente contro. Neanche oggi FdI ci crede, e poi i soldi per quella roba non ci saranno mai, è una bandierina che servirà solo a dare voti al Sud alle opposizioni. E attenti: questa legge è ordinaria e in poco tempo è bell’e fatta. Sul premierato invece siamo in alto mare».

Quanto è alto questo mare? Pure in zona centrodestra sulla riforma dello Stato ci sono tanti dubbi: «Non si può eleggere direttamente il premier grazie a un premio di maggioranza. Ci sta pure ridurre i poteri politici del capo dello Stato, ma ci vuole il 50 per cento, e se non si raggiunge serve il ballottaggio». E pure il simul stabunt simul cadent, cioè dritti al voto se il governo va in crisi, trova dubbi. Ciò non toglie che si vada avanti comunque. Partita lunga.

 


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