Data: 02/10/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA |
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L'autunno sarà caldo solo tra Cgil e Cisl (e intanto marelli va). Biden va ai picchetti della Uaw, ma Sbarra non andra il 7 in piazza con Landini. E non vuole chiamare lo sciopero generale prima di vedere le carte (che farà Bombarderi?)
La popolarità dei sindacati americani dell’auto, la potente United Auto Workers, secondo la Gallup è salita al 71%, il livello più alto dal lontanissimo 1965, ma solo il 10,1% dei lavoratori risulta iscritto. Uno schema rovesciato rispetto alla situazione italiana che vede il sindacato-associazione ancora fortissimo con 11,5 milioni di iscritti a Cgil-Cisl-Uil a fronte di una popolarità piuttosto bassa nei sondaggi universalistici. Vale la pena ragionare su questa differenza, e più in generale sulle distanze sindacali Usa-Italia, nei giorni in cui le foto di Joe Biden con il megafono ai picchetti degli scioperanti hanno fatto il giro del mondo e in qualche modo si candidano ad entrare nei libri di storia. Tutto si spiega, certo, con l’eccezionalità americana, con le presidenziali che si terranno nel 2024 e quindi con una politicizzazione estrema del conflitto sindacale che — ha senso ricordarlo — ha come concreta posta in palio un vertiginosa richiesta di aumento dei salari nelle misura del 46% in quattro anni con un 20% di incremento sin dalla firma del rinnovo. Esg e Crevalcore Il contesto italiano è molto differente, il contratto dei metalmeccanici scadrà nel 2024 e solo nei giorni scorsi all’assemblea annuale della Federmeccanica tenutasi in Veneto si sono cominciate a porre le premesse del rinnovo con una discontinuità importante: per la prima volta si parla di un contratto Esg. Per parlare di salario c’è ancora tempo e si spera che nel frattempo l’inflazione, come previsto dagli analisti, scenda significativamente. Così la vertenza più aspra che anima questa fase del panorama industriale italiano è quella che riguarda uno stabilimento della Marelli in provincia di Bologna, a Crevalcore, che produce componenti per il motore endotermico e che il proprietario (il fondo americano Kkr) vuole chiudere. La vertenza (290 posti di lavoro in ballo) è seguita con molta preoccupazione in casa sindacale perché si teme che sia la prima di una lunga serie, si paventa che tutta la componentistica italiana del Triangolo industriale possa essere interessata dai processo di transizione all’elettrico con brusche decisioni di chiusura o ridimensionamento. Quanto alla politicizzazione del caso Marelli ,l’unico che ha cavalcato il tema è stato il leader di Azione, Carlo Calenda, che ha puntato il dito contro la Cgil e il suo leader Maurizio Landini accusandolo di non aver dato battaglia per tempo contro la deindustrializzazione del settore. Movimentismo Quindi più che vertenze per il recupero del potere d’acquisto a movimentare il paesaggio sindacale italiano in fondo sono le profonde divisioni tra Cgil e Cisl. Se vogliamo, ci possiamo ricollegare al dilemma del sindacato movimento o associazione e infatti la Cgil organizzerà il 7 ottobre un grande corteo a Roma senza le altre sigle sindacali e in collaborazione invece con circa 100 associazioni grandi e piccole del terzo settore. La piattaforma della manifestazione “movimentista” è piuttosto larga — va dalla difesa della Costituzione ai temi della legge di Bilancio — ma è indicativa dell’orientamento di Landini. Non è questa la sede per analizzare se con il 7 la Cgil stia lanciando un’Opa sul terzo settore, mentre sicuramente il corteo finirà per gridare l’idea di uno sciopero generale contro il governo che concretizzerebbe il posizionamento politico-sindacale scelto dalla Cgil. Contro il governo Meloni e insieme fuori dagli schieramenti politici. Del resto non è un mistero che Landini consideri tutta la politica, anche quella di sinistra, delegittimata dai crescenti tassi di astensionismo elettorale. Per preparare l’ipotesi dello sciopero generale la Cgil ha già effettuato una sorta di consultazione delle sue strutture, ma l’esito della manifestazione del 7 ottobre sarà dirimente. Da questo orecchio però la Cisl non ha nessuna intenzione di ascoltare. Ogni confederazione può indire in solitaria mobilitazioni popolari, ma se si parla di sciopero generale tutto cambia. Ci vuole unità. Lo schema cislino è «andiamo a vedere le carte» ovvero diamo un seguito della mobilitazione dei mesi pre-estivi giudicando la legge di Bilancio e quindi l’operato del governo esclusivamente dai contenuti. Se Meloni e Giorgetti dovessero inserire nel testo un provvedimento come il taglio del cuneo fiscale e la detassazione delle tredicesime, spiegano in Cisl, sarebbe ben difficile motivare presso una larga platea di lavoratori l’astensione dal lavoro di 8 ore. La confederazione di Luigi Sbarra sostiene anche che questo è da sempre il suo codice di comportamento e vale a Roma come nelle Regioni, a prescindere dal colore della maggioranza che le governa. Insomma l’idea di indire uno sciopero generale è considerata assolutamente prematura e per di più costa 70-80 euro per un lavoratore-tipo già in difficoltà a supportare i consumi della famiglia. Di conseguenza — come accade già ai tempi del governo Draghi — la Cisl non seguirebbe Landini sulla strada dello sciopero generale. Gli “sciopericchi” — come vengono chiamati con un certo disprezzo — con percentuali di adesione decisamente bassa, come nel caso di quello indetto contro l’esecutivo Draghi, non servono a nulla se non a far sventolare le bandiere identitarie di una singola confederazione. In questa divaricazione (profonda) tra le due maggiori confederazioni sarà interessante capire come si posizionerà la Uil guidata da Pierpaolo Bombardieri, che nel recente passato ha sempre finito per accompagnare le scelte della Cgil (anche nel caso Draghi), ma non risulta però tra le sigle che hanno indetto la manifestazione del 7 ottobre. La divisione A dividere Cgil e Cisl non c’è solo il giudizio sulla legge di Bilancio e più in generale sulla politica economica di Giorgia Meloni ma anche altri temi come l’eventualità di introdurre il salario minimo. Sbarra è stato sempre contrario (in difesa della contrattazione collettiva) e ha vissuto come un tradimento lo slittamento della posizione della Cgil, oggi favorevole a una legge sul lavoro povero. Ma oltre alla difesa della contrattazione la Cisl — anch’essa in chiave prettamente identitaria — insiste sul tema della partecipazione dei lavoratori alle decisioni di impresa e ai consigli di amministrazione e ha lanciato una proposta di legge d’iniziativa popolare. Il 13 e il 14 organizzerà le Giornate della Partecipazione e porterà le 50 mila firme necessarie all’attenzione dei gruppi parlamentari per vedere alla fine — dopo tanti elogi a mezzo stampa — quali partiti (Fratelli d’Italia? Pd? Italia Viva? Azione?) saranno disposti a farsi carico di un vero iter parlamentare di approvazione di una legge che ricorda la tradizione tedesca della cogestione, ma la riscrive in chiave italiana. Anche in questo caso le profonde divisioni con la Cgil si sono fatte sentire e hanno generato mugugni perché dal quartier generale di Landini (e da quello della Uil) non è nemmeno maturata una vera decisione sull’iniziativa della Cisl, si è preferito sorvolare. |
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