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Data: 10/03/2024
Testata Giornalistica:
CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

L’indigestione di arrosticini e gli ingorghi di auto blu La folle campagna dei «tre mari». La sfida in Abruzzo tra promesse, gaffe e «Santa Todde» in processione

State cominciando a leggere il classico pezzo che i giornali pubblicano il giorno del voto. Riassumi. Recupera. Ricorda. Di solito è un pezzo d’una noia mortale. Solo che, stavolta, dall’Abruzzo arrivano cronache di una campagna elettorale davvero memorabile, diventata di assoluto valore nazionale e perciò lentamente tramutatasi in un grandioso show, con picchi di puro avanspettacolo, con un’ipnotica rumba di psichedeliche promesse e strepitose cattiverie, maschere sicofanti si sono alternate con geniali impostori, gran via vai di auto blu, di lampeggianti blu, di scorte in corteo (a spese nostre, as usual), i leader avanti e, dietro, i noti trafficanti di preferenze, più una santa pellegrina portata a spalla dalla Sardegna e un ex segretario del Pd (il mitologico Pier Luigi Bersani, vera star) usato, tra gli applausi, come amuleto, come santino portafortuna: tutti, nel centrodestra e nel centrosinistra, sono saliti sul palco offrendo il corpo e le voci e mostrando — a turno — le loro peggiori, e comiche, debolezze. Utili porzioni di crudele verità politica.

Da dove cominciamo?

Dalle scoperte geografiche. Perché la partita inizia subito ruvida. E, rovistando nel web, anime perfide fanno riemergere un filmato del 2021. In cui Marco Marsilio, il governatore uscente che si ricandida, annuncia alla comunità scientifica internazionale: «L’Abruzzo è l’unica regione d’Italia che si affaccia su due mari... anzi, su tre, compreso lo Jonio». Capolavoro. I cronisti s’appassionano. Ma fosse stato un po’ sottovalutato questo Marsilio? Scopriamo così un romano di 56 anni che parla romanesco, che fa il pendolare con Roma — «Devo tornare a dare il bacio della buonanotte a mia moglie e a mia figlia» — e che, sempre a Roma, alla Garbatella, un trentennio fa, aprì la porta della sezione del Msi trovandosi davanti una ragazzina, capelli a caschetto biondi, scarponcini Dr. Martens. «Mi chiamo Giorgia, posso entrare?». Siamo al vangelo tricolore. Però, scusi, Marsilio: e l’Abruzzo, in tutto questo? Allora lui attacca a cantare: «Eeee... /Vola vola volaaa/ vola lu cardillooo... La so tutta: continuo?». Poi, aumm aumm, fa aggiungere dal suo staff: «Guardate che il presidente è pure ghiotto di arrosticini...» (ma sugli arrosticini, ossessione del centrodestra, torniamo tra qualche capoverso).

L’avversario di Marsilio è Luciano D’Amico, 64 anni, un abruzzese da Torricella Peligna (Chieti), ex rettore a Teramo e accademico noto per l’efferata mitezza. Da non fraintendere. Infatti, alla prima intervista, precisa: «I leader della mia coalizione sono tutti benvenuti. Però il comizio di chiusura, sia chiaro, lo faccio da solo». Un po’ perché la tremenda foto di Vasto (2011) porta ancora sfiga. Un po’ perché il professore è buono, ma non fesso, e ha capito l’antifona. La sua coalizione, il cosiddetto «campo largo», sta insieme con il Vinavil.

Per dire: spunta Carlo Calenda. E, netto, dice: «Conte e Schlein non vanno d’accordo su niente». Poi aggiunge: «Io sto qui solo perché sono elezioni amministrative. E perché il candidato mi piace. Ma con i grillini io non starò mai in alcun governo». Mai? «I grillini li considero populisti, incapaci, trasformisti, invaghiti di Putin e tifosi di Trump». Quindi? «Tenetevelo il “campo largo”».

La gastronomia. Anche Bersani nella contesa gastronomica: mi sento come  il prosciutto nel panino

Intanto, però, sta per comparire sulla scena Santa Todde da Nuoro. La grillina che, vincendo le elezioni sarde, ha incrinato le certezze di invincibilità del centrodestra. Che, infatti, piomba in Abruzzo con capi e capetti. I sondaggi dicono che il vantaggio di Marsilio su D’Amico s’è drasticamente ridotto. Certo le liste di Marsilio sono zeppe di campioni delle preferenze e, a differenza di quanto avvenuto sull’isola, non sarà possibile esprimere il voto disgiunto. Però una certa ansia è piuttosto diffusa.

L’idea sarebbe perciò quella di dimostrare che, come ad ogni passaggio elettorale, il centrodestra è abilissimo a compattarsi. Solo che qui c’è Matteo Salvini. Vede i sondaggi della Lega in calo, legge i retroscena che ipotizzano addirittura un sorpasso di FI alle Europee: e così continua la sua partita contro Fratelli d’Italia. Prima si spertica in elogi per Trump (la premier è reduce da un affettuoso incontro con Biden); quindi — letteralmente — sparisce dal palco. A Pescara. La Meloni si è appena esibita in una nuova serie di faccette (a Cagliari, tra l’altro, non hanno portato bene), la voce ironica che sapete, dice che ha già messo l’elmetto, indossa un piumino rosa, prova ad essere baldanzosa. Poi gli organizzatori avvertono che piove, piove troppo, e bisogna chiudere. Maurizio Lupi fa in tempo a dire che sulla vittoria è pronto a scommettere «fagioli e arrosticini» (capite, no?), e viene chiamata la foto di gruppo.

E Salvini? «Matteo, Matteo... Ma ‘ndò sta, se n’è annato?» (la Meloni, tra stupore e imbarazzo). Sì: se n’è andato. Antonio Tajani, chiedendo comprensione, allarga le braccia (con questo trucchetto, rischia di far diventare FI il terzo partito della coalizione; Marcello Sorgi, su La Stampa, lo soprannomina — citando Arnaldo Forlani — «Fregapiano»). Quando Salvini ricompare, dice: «Mandiamo a casa i comunisti che mangiano gli arrosticini finti» (no, vabbè).

La deriva gastronomica dilaga. Bersani entra in un bar di Sulmona: «Mi sento come il prosciutto dentro al panino, tra la speranza dell’Abruzzo e la speranza del Pd». Seguono baci, grida di evviva. «Sei l’esponente del Pd più amato!». Elly se lo porta dietro proprio per questo. Elly controlla a distanza Conte. Rilassato (ha già vinto in Sardegna), senza più pochette, ma con dentro la sulfurea ambizione di tornare un giorno, quando sarà, se sarà, a Palazzo Chigi, come premier. Matteo Renzi s’è messo l’anima in pace e fa Renzi (al solito dimostrando d’essere, tecnicamente, il più bravo).

La geografia. Il governatore romano «pendolare» e le incertezze sui confini della Regione

I cronisti, un comizio dietro l’altro, visitano l’Abruzzo. Scoprendo che la sanità è al collasso. E che la media della mortalità è alta. Questo spiega la promessa di nuovi ospedali. E poi ci sono anche le promesse di autostrade e porti. Non ponti (immaginarne uno che colleghi Pescara alla Croazia dev’essere sembrato, francamente, troppo).


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